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CHI SI ASTIENE PERDE SEMPRE

– di Filippo Del Monte – L’astensionismo, questo è un altro dato fondamentale da tenere presente non solo nelle Elezioni regionali siciliane, ma più in generale nel panorama politico nazionale. L’Italia condivide oggi – dopo essere stata per anni un’eccezione in Europa – con le altre “democrazie mature” occidentali il forte calo della partecipazione elettorale dei cittadini. Il tempo della partecipazione politica propria della società di massa è finito da almeno vent’anni; ma a fronte di una sua “politicizzazione” molto bassa, il popolo italiano sempre si era mobilitato in massa per gli appuntamenti elettorali. Come a dire che sì, è sempre esistito un generale senso di “sfiducia” nei confronti della classe politica, ma le elezioni erano considerate – per paradosso – uno strumento attraverso il quale mostrare il proprio punto di vista, attraverso il quale dare un giudizio, attraverso il quale – in ultima istanza – esprimere la propria “sovranità” nella speranza che il cambiamento potesse veramente attuarsi con la matita e la scheda elettorale.

La mancata partecipazione del 53,24% degli aventi diritto alle Elezioni regionali siciliane invece è grave, c’è una necessità forte di interrogarsi sulla tenuta della democrazia rappresentativa per come l’abbiamo conosciuta finora. Se il ceto politico diventa espressione di una minoranza – senza dubbio corposa ma comunque minoranza – di cittadini, allora è sovvertito il senso stesso della democrazia: la rappresentanza spetta alla maggioranza. Per avere la legittimità legale basta avere la maggioranza, per avere la legittimità politica non basta essere la maggioranza d’una minoranza.

Si può intentare un processo contro la “politica” perché questa sarebbe la strada più facile da percorrere, forse la più scontata. Eppure bisognerebbe avere il coraggio di dire che gli astensionisti, gli eterni scontenti, gli indignados professionisti, andrebbero rifiutati e schifati dal sistema politico e non corteggiati dai candidati. Troppe volte si dice in campagna elettorale – e con quanta demagogia poi! –  di dover riportare il “popolo dell’astensione” alle urne, di doverli convincere che il progetto di questo o di quel candidato è talmente credibile da poter spingere questi “cittadini delusi” a rimettere mano alla tessera elettorale impolverata.

I mantra “sono anni che non vado più a votare!” e “tanto sono tutti uguali!” ci vengono sciorinati da questi onesti cittadini anche con un certo vanto, come a volersi estromettere da un sistema malato con cui loro non hanno nulla a che fare. Eppure la Costituzione parla chiaro: il voto non è solo un diritto ma un dovere; perché i diritti senza doveri poco valgono e perché il voto – non il “mi piace” su Facebook – è l’essenza stessa della democrazia. Niente voto, niente rappresentanza. Eppure nel corso degli anni si è assistito ad un vero e proprio depotenziamento della funzione del voto; nel tentativo insulso di “liberalizzare” la politica – di conseguenza “spoliticizzandola” – si è eliminato il dovere e si è difeso solo il diritto. Il risultato è che la critica diffusa, lo scontento ed il “parlamento” telematico hanno sostituito la politica vera, quella delle elezioni, delle idee e delle critiche costruttive figlie di una visione del mondo; in altre parole la “politicanza” ha distrutto la “cultura della politica“.

Dire che tutto questo sia colpa esclusiva dei “politici” – che per gli scontenti di cui sopra sembrano essere espressione non del popolo italiano ma di chissà quale pianeta – è riduttivo, è un insulso tentativo di mistificazione. Infatti la coerenza rispetto a quel che si starnazza sui social, al bar od a casa propria starebbe nell’impegnarsi in prima persona se proprio nulla di quel che il campionario politico locale e nazionale propone piace. Ed invece no, impossibile, impegnarsi non è contemplato per il semplice fatto che proprio la strenua difesa dei diritti e la criminalizzazione dei doveri ha innescato un processo psicologico – decisamente patologico – per cui a questi “indignati” sarebbe tutto dovuto e quindi starebbe ad una classe politica formata sempre dai soliti “quattro cialtroni” criticati fino al minuto prima rigenerarsi.

Spiacente, ma nessuna comprensione, nessuna stima, nessuna vicinanza si può provare per gli astensionisti; nel loro istinto gattopardesco vorrebbero che tutto cambiasse per restare poi com’è. Quante istanze di cambiamento, quanti programmi rivoluzionari, quanti giovani candidati sono stati “ammazzati” nella bolgia elettorale dalle truppe cammellate di ras locali e parlamentari eterni proprio perché gli indignados hanno scelto di mostrare una volta in più la loro rivolta tutta personale ed inutile non recandosi alle urne? Se la politica oggi è quel che è la colpa è anche di chi si astiene e non partecipa.

Convinti che non esista la democrazia – perché loro la considerano alla stregua del voto per alzata di mano delle assemblee di condominio e non un complesso sistema di pesi e contrappesi dove i risultati non sono immediati – gli astensionisti sono i primi a confermare l’essenza oligarchica d’ogni sistema democratico e rappresentativo ed i primi a screditarne i meccanismi che in cuor loro tanto osannano. Chi si astiene vive in balia delle onde di quel mare in tempesta che si chiama “democrazia italiana”; non collabora a scegliere la rotta, pretende che un capitano scelto da altri interpreti però quel che lui aveva in mente e poi si lamenta se l’equipaggio non lo segue. Strana la psicologia dell’astensionista che a tratti – quelli in cui si palesa – appare come un idiota smarrito ma che di sermoni ne avrebbe da fare eccome se solo qualcuno – eccettuata la sua claque abituale di analfabeti funzionali – avesse voglia di ascoltarlo.

Gramsci diceva “odio gli indifferenti” ma la realtà è un’altra: sì l’odio rimane, ma nei confronti di chi oggi è, in democrazia, “differente” e cioè gli astensionisti e gli scontenti. I vomitatori di sentenze, i leoni da tastiera, quelli per cui il Parlamento, le Regioni, i Comuni (e strano che non lo siano anche le assemblee d’istituto) altro non sono che un’accolita di ladri, una confraternita para-massonica che ordisce il grande complotto ai danni del “popolo onesto” e che loro hanno bravamente scoperto e che “fottono” non andando più a votare. Per logica politica, per concezione “alta” della democrazia chi si astiene e non va a votare fa più schifo di un politico disonesto e questo andrebbe scritto a lettere cubitali. Oggi invece si è scelto di incensare – a tutte le latitudini della politica nazionale – questi ignavi, questi “spostati” della democrazia, questa feccia del sistema politico che non sarebbe in grado nemmeno di seguire il vessillo bianco nell’Antinferno dantesco senza sbagliare strada.

 

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