A cura di Michele Gottardi – La notizia che sta scuotendo il mondo della politica, in particolar modo quella legata alla storia della destra, riguarda l’apertura di un’indagine giudiziaria nei confronti dell’ex Presidente della Camera Gianfranco Fini. Quest’ultimo infatti risulta essere indagato per riciclaggio nell’ambito dell’inchiesta che ha portato la Guardia di Finanza a sequestrare beni per un valore di circa 5 milioni di euro nei confronti di Sergio, Giancarlo ed Elisabetta Tulliani (compagna di Fini) con riferimento ai reati di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio posti in essere dal 2008. Questa vicenda non ci è nuova, dato che da anni erano emersi dubbi su alcuni rapporti finanziari intestati alla famiglia Tulliani che avevano però portato Fini a dichiararsi sempre esterno ai fatti. Siamo sicuri che l’ex Presidente della Camera riuscirà a dimostrare la sua innocenza, ma ciò su cui vogliamo focalizzare l’attenzione è il fatto che, per la prima volta, la sua figura integerrima risulta essere oscurata. In linea con il pensiero dell’MSI e poi di AN, l’ex leader della destra italiana aveva fatto della suo modus operandi un esempio di legalità e trasparenza, solidarizzando sempre e comunque con le forze dell’ordine e la magistratura, anche quando quest’ultima eccedeva i suoi poteri e, magari, entrava nell’agone politico per far sentire la propria voce. L’inimicizia con Silvio Berlusconi nacque proprio per questo motivo: mentre il leader di Forza Italia spesso e volentieri attaccava il potere giudiziario, definendolo “politicizzato” e “comunista”, e scatenava frequentemente aspre polemiche con l’Associazione Nazionale Magistrati, l’ex leader di Alleanza Nazionale prendeva sempre le distanze dalle parole del primo, difendendo spesso l’operato della magistratura in virtù di un legalitarismo di cui Fini si sentiva custode. Nel 2010, all’indomani dell’espulsione di Fini dal PDL e della fondazione di Futuro e Libertà, l’allora Presidente della Camera aveva iniziato a partecipare a talk show, dibattiti e confronti dipingendosi come l’erede di una destra tradita e da riscattare a causa della malapolitica portata avanti da Berlusconi, ricevendo il plauso del centrosinistra. Per alcuni elettori, delusi dalle inchieste che avevano colpito diversi esponenti del centrodestra, Fini era apparso come l’uomo che, stanco di sopportare il malaffare di matrice berlusconiana, avrebbe rifondato una destra nuova e pulita, salvo poi accorgersi che il fondatore di FLI aveva deciso di farsi paladino di idee ben lontane dalla tradizione della destra. Quest’ultimo tuttavia, al di là di ogni giudizio sulla sua condotta politica, poteva vantare (e pochi con lui) una storia politica immune da inchieste ed illegalità.

Questa intangibilità si è però infranta con le vicende giudiziarie che lo vedrebbero come uno degli attori di un sistema finanziario illecito e che riaprono la discussione sulla “questione morale” all’interno del centrodestra. Sicuramente il ventennio berlusconiano non ha creato una classe dirigente all’altezza, sia per capacità sia per trasparenza: troppe le inefficienze ed eccessivi gli scandali giudiziari. Come sempre (non solo in Italia) la politica è incline più agli affari che al bene dei cittadini e, dato che per governare servono i voti, per raccogliere il maggiori numero di consensi spesso la fiducia è stata riposta in uomini inaffidabili e poco puliti. Non sto qui a ricapitolare le troppe volte in cui Forza Italia, AN e PDL (compresa anche la Lega Nord) hanno dovuto affrontare vicende disgustose e ripugnanti a discapito della fiducia di militanti e sostenitori: sicuramente il richiamo di Fini alla legalità come valore fondante del centrodestra non andava disprezzato e auspichiamo che alla fine della vicenda Fini torni ad essere un testimonial ideale di questi valori. L’ex leader di AN mirava ad essere il nuovo leader del centrodestra scavalcando il “vecchio” Berlusconi, con l’intenzione però di non essere preso di mira dalle procure e dai mezzi di comunicazione. Ecco perché serviva una svolta dentro l’area politica alternativa alla sinistra: non più contro la magistratura, ma al suo fianco, anche a costo di negare i suoi soprusi e affronti. Questa tattica è fallita nel 2013, quando il partito di Fini raccolte pochissimi consensi, e nuovamente in questi giorni a seguito delle vicende emerse, che ci hanno permesso di riscrivere una storia che all’epoca causò sgomento ed amarezza. Caro Gianfranco, non sempre, come diceva Manzoni, omnia munda mundis