La prima persona che andremo a conoscere è il giovanissimo Storico e Critico d’Arte Marco Grilli, ragazzo di Terni, che ha avuto il coraggio di inseguire le proprie passioni ed i propri sogni, studiando e dedicando la sua vita allo splendido mondo dell’arte.
Caro Marco, innanzitutto voglio ringraziarti per aver accettato di rispondere alle mie domande, è un vero piacere per me.
Grazie a te Riccardo, il piacere è tutto mio.
Come prima domanda, vorrei chiederti se hai voglia di parlarci precisamente di cosa ti occupi e cosa ti ha spinto, in questi tempi incerti, ad intraprendere la tua strada nel mondo dell’arte?
La mia passione per il mondo dell’arte nasce ben 9 anni fa quando, durante il mio ultimo anno di liceo classico, venni in contatto con il genio creativo di Michelangelo: vederne il tratto, lo spessore artistico e quella forza espressiva emanata da tutte le sue opere e soprattutto dal Giudizio Universale della Cappella Sistina, fu per me folgorante e da lì mi fu subito chiaro che la mia strada sarebbe stata legata agli studi storico-artistici.
Oggi non posso che essere fiero del percorso intrapreso allora: ho portato a termine i miei studi conseguendo il titolo di storico dell’arte ed ho approfondito anche il settore più contemporaneo occupandomi di critica artistica.
Da più di 6 anni collaboro con il Museo Diocesano e Capitolare della mia città di Terni e sono responsabile culturale di un’associazione del territorio con la quale da due anni gestiamo questa struttura, in collaborazione con la direzione, organizzando mostre ed eventi di ogni tipo.
Come molti ragazzi della mia età sono, però, anche appassionato di tecnologia e soprattutto del mondo della rete, che cerco sempre di usare come fonte di divulgazione: per questo motivo mi sono aggiornato anche in questo settore qualificandomi come Content Manager 2.0.
Ovviamente queste “titolature” ormai demodé non vogliono essere un vantarsi ma un voler trasmettere un messaggio importante: tutti noi dobbiamo impegnarci al massimo in quello in cui crediamo, cercando sempre di essere al passo con i tempi e di fare la differenza per un futuro migliore, qualsiasi strada scegliamo di intraprendere.
Come giustamente hai detto te Riccardo, questi non sono certo tempi facili per il mondo dell’arte: il nostro Paese è ricco di beni culturali ma l’Italia non sembra sapere cosa farsene.
E’ compito di noi storici e critici d’arte cercare di impegnarci al massimo per riportare i cittadini prima, e i politici poi, ad innamorarsi nuovamente di queste testimonianze del nostro passato, comprendendone anche l’alto valore economico: credo, infatti, che proprio l’arte e la cultura più in generale possano essere il nuovo volano dell’economia italiana ed europea.
Da circa un anno hai deciso di dedicarti anche alla Politica, entrando a far parte di Forza Italia, ricoprendo ruoli importanti sul versante della Cultura.
Credi che in Italia, dove risiede il più importante patrimonio artistico mondiale, la classe dirigente si occupi adeguatamente della sua valorizzazione?
Purtroppo non credo affatto che ci si stia adeguatamente occupando della valorizzazione del nostro vasto patrimonio culturale.
Solo per renderci conto di quanti tesori abbiamo, l’Italia possiede ben 51 siti fisici e tangibili appartenenti alla lista del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura), ai quali vanno aggiunti 6 Patrimoni orali e immateriali dell’umanità e 6 beni inseriti nel Registro della Memoria del Mondo.
Basandoci già su questi numeri (certi e certificati) possiamo capire quanto sia esteso il bacino culturale italiano e quanto, purtroppo, non si stia facendo.
Certo la difficoltà insita nella gestione di un così vasto tesoro è senza ombra di dubbio tangibile; così come la questione economica che, soprattutto in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo vede, o dovrebbe vedere, un congelamento dei fondi destinati alla cultura in favore del sostentamento dei cittadini e delle politiche legate al welfare, oltreché alla sicurezza.
Perché dico dovrebbe? Perché purtroppo molto spesso non è così; vengono stanziati fondi per questioni non rilevanti, si sprecano fondi europei perché non si sa come utilizzarli, ci si avvale di fondi destinati alla cultura per progetti inutili, che non portano alcun arricchimento nel tessuto culturale ma che servono solo come “compensazione” politica.
Un altro tema che mi sta molto a cuore, infatti, è legato ai titolari degli assessorati alla cultura (comunali e regionali) e al titolare del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, cioè a coloro che decidono le linee culturali di una città, una regione e del Paese nella sua interezza: purtroppo in Italia, e non solo, c’è l’usanza di avvalersi di questa poltrona come contentino politico, tralasciando la formazione e l’esperienza del suo inquilino.
Sebbene l’attuale Ministro Franceschini si sia fatto carico di alcune richieste degli esperti del settore che da anni desiderano cambiamenti in favore di una cultura specializzata, funzionale e produttiva, la sua formazione da avvocato non si sposa perfettamente con il ruolo ricoperto.
Da qui la mia domanda: a che cosa serve continuare a formare storici e critici d’arte se tanto non ce se ne avvale adeguatamente? Ad oggi, forse, la risposta potrebbe essere perché loro diversamente non possono fare.
Questa voglia di cambiamento cui tanto aspiro ed a cui, come me, aspirano molti cittadini italiani, colleghi e non, mi ha spinto a scendere in campo, a metterci la faccia, a battermi per quello in cui credo smettendo di lamentarmi ed iniziando ad agire, cercando, nel mio piccolo, di contribuire al cambiamento: il mio impegno c’è e continuerà ad esserci, restando sempre a disposizione di tutti per collaborare insieme ad una nuova stagione culturale, qualificata e sapiente, oltreché lungimirante.
Nel tuo piccolo, so che fai molto per la valorizzazione del tuo territorio. Ad esempio ti sei personalmente occupato dell’allestimento di varie mostre nella città dove risiedi, Terni. Vuoi parlarcene?
Si, ormai da un paio di anni. Dopo aver collaborato alla realizzazione di numerose mostre di respiro regionale e nazionale, oltreché locale, ho iniziato ad organizzare in prima persona mostre personali di artisti viventi, collettive ma anche mostre di carattere storico e folklorico.
Organizzare una mostra non è certo semplice, soprattutto se ci si approccia ad essa con superficialità: tutto va studiato nel minimo dettaglio e soprattutto va conosciuto appieno il soggetto dell’evento; bisogna esserne padroni per poterlo trasmettere agli altri.
Una mostra, per definizione, non necessita però di troppe parole in quanto è l’arte stessa che non ne sente il bisogno: se io mi devo avvalere di molte parole (come purtroppo fanno oggi molti pseudo-colleghi) per descrivere l’opera di un artista significa che il lavoro di per sé non vale nulla, perché non ha saputo assolvere alla sua missione primaria, che è quella di trasmettere e suscitare sentimenti, emozioni in chi la osserva.
Ovviamente la parola deve esistere, altrimenti non avrebbe alcun senso il ruolo di uno storico e critico d’arte: quello che, però, dovrebbe fare questo professionista è fornire gli elementi essenziali per la comprensione dell’artista nella sua interezza, segnalando gli influssi del suo essere persona ed artista sulla sua creazione stessa, frutto del genio umano.
Per intenderci, è come se davanti alla Pietà di Michelangelo ci mettessimo a descrivere ogni singola emozione che si prova a contemplarla: non avrebbe senso perché l’opera è da sola una forte comunicatrice; possiamo analizzarne le linee, le forme, la tecnica, studiarne le fasi della creazione, coglierne gli influssi, compararla con altre opere ma mai spiegarne le emozioni; si tradirebbe la volontà stessa dell’artista.
Cosa pensi del lavoro svolto dalle Associazioni che si occupano della valorizzazione del nostro Patrimonio Culturale ed Artistico, come ad esempio il FAI? Credi che servirebbe una maggiore copertura da parte dei media per permettere ad un numero più elevato di giovani di avvicinarvisi?
L’Associazionismo culturale è oggi più che mai fonte primaria di linfa vitale: senza questo tipo di associazioni, infatti, il nostro patrimonio rischierebbe davvero di scomparire.
Lo Stato non sempre riesce a sopperire alle gravi mancanze nei confronti di questo settore (per i vari motivi che ho citato prima): l’associazionismo culturale, per sua definizione, è invece capace di rispondere a queste necessità giacché nasce, con questo preciso scopo, dalla volontà di un gruppo di appassionati (e spesso anche esperti) del settore.
Inoltre è una forte espressione delle libertà personali dell’uomo che decide di intervenire in prima persona in difesa di ciò che ritiene importante conservare e tramandare.
Un validissimo esempio è proprio il Fondo Ambiente Italiano (FAI) con il quale da anni partecipo, come guida volontaria, alle giornate di primavera, volte all’apertura di luoghi solitamente chiusi al pubblico al fine di garantire la massima diffusione del sapere.
Partecipandovi attivamente ti rendi conto di quanto sia difficile trovare persone, soprattutto giovani, disposti ad impegnarsi gratuitamente per il bene comune: questo certo è un problema che da tempo attanaglia ogni settore e soprattutto la cultura a causa di anni e anni di completo disinteresse delle istituzioni nei confronti del sapere umano in senso generale.
Con la crisi questo diventa ancora più difficile: tutti noi, io compreso, ho dovuto fare i conti con promesse mancate, sogni infranti, attese infinite e soprattutto tanta gavetta gratuita che ha portato a un nulla di fatto; quindi chiedere un ulteriore sforzo gratuito non è semplice né facilmente accettato.
Ma credo che solo con l’impegno di tutti e con tanta fatica, ma con forte senso di lungimiranza si possa davvero fare la differenza riuscendo ad apportare delle migliorie a questo ormai malandato sistema Italia.
Ovviamente in tutto questo un ruolo fondamentale è giocato dai mass media: se venisse dato più spazio alla cultura e all’informazione, se fossero messe più in evidenza le cose che funzionano, le associazioni che s’impegnano, insomma, l’Italia e gli italiani del fare, che quotidianamente si prodigano per il bene comune, forse la situazione sarebbe un po’ diversa, in quanto tutti si sentirebbero coinvolti in un progetto più grande e vorrebbero farne parte anche loro.
In fin dei conti gli italiani sono un popolo generoso ed altruista, che sa rispondere adeguatamente ad ogni necessità e che sa “ascoltare” anche le esigenze del suo patrimonio culturale: mi è spesso capitato di vedere intere comunità cittadine “adottare” un monumento o un’opera d’arte restaurandola con finanziamenti propri od organizzando eventi benefici in favore di un bene culturale; questa è l’Italia che merita di essere vista ed ascoltata e non sempre accantonata perché, come si dice in gergo tecnico, non fa notizia.
Questa è una mia domanda di rito, in quanto ritengo molto importante tenere vivo il dibattito su questo argomento.
Come sai, negli ultimi tempi è sempre più frequente la “sponsorizzazione” da parte di Enti Privati per le opere di restauro dei nostri grandi monumenti. Ultimo il lavoro finanziato dalla Casa di Moda “Fendi” per il restauro della Fontana di Trevi. Pensi che sia un bene o un male? Lo Stato dovrebbe essere più presente in tal senso?
La mia scelta di vita di stampo liberale non può che plaudire ai finanziatori privati che si fanno carico di un bene culturale per ridonargli nuova vita, sopperendo a una mancanza o ad una impossibilità dello Stato di prendersene cura a dovere.
Non riesco a capire perché ci si scagli sempre più contro i privati che intendano investire nella cultura: la Casa di Moda “Fendi” che hai citato tu, ma così anche il gruppo “Tod’s”, presieduto da Diego Della Valle, che si sono contraddistinti per il restauro di importanti monumenti romani quali la Fontana di Trevi e il Colosseo non hanno fatto altro che restaurare un bene di tutti restituendolo, migliorato, alla comunità in cambio al massimo di sgravi fiscali e di un ovvio ritorno d’immagine.
Mi sembra un giusto “scambio di favori” visto il carico di lavoro, soprattutto di sborso economico, toccato loro: lo Stato ne guadagna in vantaggi futuri vedendosi aumentati gli introiti provenienti dal turismo di massa e/o culturale, oltreché vedersi risolto un problema politico-economico-giuridico non di poco conto.
Credo che anche questa complicazione sia da ascriversi a una mancata lungimiranza che sempre più sta dilagando a macchia d’olio in Italia: senza una politica culturale attiva e appunto lungimirante non si potrà mai tornare ad investire nel turismo e nella cultura perché guardando solo all’oggi in termini economici non se ne comprenderanno le piene potenzialità.
Caro Marco, è stata una chiacchierata davvero molto interessante e costruttiva. Nel ringraziarti ti chiedo se vuoi dire qualcosa di particolare ai nostri lettori.
Grazie Riccardo a te per questa intervista che mi ha permesso di delineare alcune criticità e soluzioni di questo vasto universo della cultura, soprattutto per aver potuto riportare l’attenzione su quanto sia importante e necessario sviluppare (ad ogni livello istituzionale) una politica culturale che possa permettere a questo settore di rinnovarsi delineandosi come vero volano economico nazionale.
A tutti i lettori vorrei semplicemente trasmettere la mia passione ed incentivarli a ricercare la loro: impegnatevi fino in fondo in quello in cui credete e non fatevi scoraggiare dalle mille difficoltà che incontrerete lungo la vostra strada.
Molti cercheranno di ostacolarvi e demotivarvi: ecco questo sarà il momento di insistere con ancora più forza perché significherà che starete procedendo per la retta via, così giusta da “disturbare” chi vive di questo nostro sistema Italia dove lo status quo è meglio del cambiamento.
E tornate ad occuparvi di politica perché volenti o nolenti fa e farà sempre parte dell’essere cittadino e se non sarete voi ad occuparvene sarà la politica stessa ad occuparsi di voi, che subirete così, le scelte altrui senza aver potuto fare qualcosa per farvi ascoltare e far valere le vostre idee.
Grazie.