A cura di Giacomo Tamborini – E’ arrivato il 25 aprile e, come sempre, le immancabili polemiche, polemiche nate dall’incapacità che abbiamo, dopo decenni, di guardare in modo oggettivo e libero da ideologie al passato del nostro Paese, a quella Storia che in fondo è la nostra storia. Nel 1945 gli uomini e le donne che si impegnarono nella lotta contro il nazifascismo avevano idee politiche e sociali diverse, erano liberali, monarchici, comunisti, socialisti, cattolici e via andando, mossi da motivi diversi si impegnarono contro l’occupazione nazista, molte volte sacrificando la propria vita. L’ANPI, però, da un po’ di anni, racconta che la stragrande maggioranza dei partigiani fosse comunista, senza se e senza ma, con buona pace, tra gli altri, di Francesco De Gregori (zio dell’omonimo cantante) e dei membri della brigata partigiana Osoppo, assassinati proprio dai partigiani comunisti nell’eccidio di malga Porzus, assassinati proprio perché non comunisti. Col tempo, poi, l’ANPI ha perso anche la sua connotazione originale di associazione partigiana ed è diventata semplicemente un’associazione di sinistra, una delle tante, ergendosi, non si sa bene su quali basi, a censore e giudice nonché a controllore unico ed assoluto dei valori della Resistenza e del 25 aprile, monopolizzando così una ricorrenza che invece appartiene a tutti gli italiani. Esempio della deviazione presa da ANPI e da tutto il mondo che si definisce “partigiano” ma che partigiano non è in alcun modo, perché no, i centri sociali non sono partigiani, i collettivi non sono partigiani, i no global non sono partigiani, diciamolo una volta per tutte; Ferruccio Parri era un partigiano, Oriana Fallaci e suo padre erano partigiani, così come Edgardo Sogno ed Enrico Mattei, ma a quanto pare è scomodo dirlo e ricordarlo, esempio della deriva di questo mondo, dicevo, è la questione della Brigata Ebraica, accolta ogni anno da sputi e insulti, minacciata ed oltraggiata da chi pensa di essere custode indiscusso ed indiscutibile della libertà, la vetta più alta la tocchiamo poi a Roma, dove al corteo del 25 aprile sono stati invitati i rappresentati delle associazioni palestinesi, rappresentanti di realtà che col 25 aprile nulla hanno da spartire, rappresentanti di realtà che odiano Israele e il popolo ebraico, ma da quell’ANPI che a Biella aveva inizialmente patrocinato la proiezione di un “documentario” dal titolo “Israele, il cancro” ci si aspettava altro? La decisione del presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, di non aderire alla manifestazione promossa dall’ANPI è assolutamente condivisibile, nonostante qualcuno faccia finta di non capire e, anzi, cerchi di prendere al balzo l’occasione inscenando un macabro spettacolo di rigurgito anti semita (vi invito ad andare a leggere i commenti che appaiono in questi giorni sulla pagina Facebook di ANPI Nazionale sotto i post riguardanti la vicenda), a questi signori penso sia doveroso offrire un ripasso di storia, potranno così scoprire che Muḥammad Amīn al-Ḥusaynī, Gran Mufti di Gerusalemme (suprema autorità giuridico-religiosa per gli arabi palestinesi, era un fervido ammiratore di Hitler, tanto per dirne una. Da giovane che crede fermamente in libertà e democrazia il 25 aprile starò ben lontano da cortei e commemorazioni perché sono stanco di chi plagia la storia, sono stanco di chi usa la Resistenza come una clava, sono stanco di chi è pronto a sputare addosso o a lanciare sassi contro chi ha idee diverse e poi ha anche il coraggio di parlare di libertà. Il 25 aprile, se potessi, andrei sulla tomba di papà Fallaci, al cimitero americano di Nettuno e a malga Porzus per dire grazie, così come direi grazie ai combattenti della Brigata Ebraica, l’ANPI si tenga pure il suo 25 aprile fuori dal tempo e fuori dal mondo.