Filippo Anfuso è stato certamente il giovanissimo giornalista corridoniano e legionario fiumano, l’amico fraterno di Galeazzo Ciano e l’ambasciatore della RSI a Berlino che tutti conoscono; ma è stato anche colui che diede assieme ad Ezio Maria Gray fisionomia alla cultura “geopolitica” del Movimento Sociale Italiano e della destra italiana del dopoguerra. Quando nel 1950 Anfuso rientrò in Italia dall’esilio nella Spagna franchista aderì subito al MSI schierandosi con i nazional-conservatori di Arturo Michelini e si attivò immediatamente per convincere la base ed i vertici del partito della bontà della (sofferta) scelta atlantista dell’anno precedente. Nel 1949 il vecchio nazionalista Ezio Maria Gray aveva definito l’ingresso dell’Italia nella NATO come “un patto da accettare, non da esaltare”, cioè da sostenere obtorto collo pur di garantire la sicurezza dell’Italia dalla minaccia d’invasione sovietico-jugoslava.
Anfuso scelse di sostenere la linea di Gray perché – da buon diplomatico della vecchia scuola realista italiana – si rendeva perfettamente conto del fatto che l’Italia non avrebbe avuto in piena Guerra Fredda i margini di manovra che alcuni nel MSI speravano e sapeva che dietro lo slogan di “indipendenza nazionale” del PCI si nascondeva invece un più articolato disegno di asservimento del Paese alle esigenze della politica estera sovietica. Quelli erano gli anni del serrato dibattito interno al mondo missino sulle tematiche della politica estera. Per comprendere la posizione di Anfuso è necessario fare un riassunto di quelle che erano le principali posizioni delle varie componenti del MSI su questi temi.
Mentre Evola ed i “figli del sole” vedevano negli USA – con la loro deriva capitalista, consumista ed individualista – il pericolo maggiore per l’Italia, la visione “terzaforzista” della sinistra nazionale di Ernesto Massi predicava l’equidistanza dai blocchi. Fu proprio Ernesto Massi – fondatore della geopolitica italiana – a rappresentare già al momento della fondazione del MSI l’ala ostile a qualunque compromesso con il campo occidentale nel nome di un’equidistanza tra blocchi che, sebbene ammantata di indiscutibile fascino, era già improponibile nel 1946. Pur snocciolando una serie di concetti geopolitici accademicamente esatti per giustificare la propria posizione, la sinistra nazionale peccò di “idealismo” in una fase in cui era il più crudo realismo a dover essere utilizzato. Sul piano prettamente politico fu Giorgio Almirante il polo attorno al quale si riunirono tutti gli “identitari” e gli “scontenti” per ribadire la pregiudiziale anti-americana del MSI. Una certa “impoliticità” delle teorie evoliane ed il ridotto margine di manovra della sinistra nazionale resero l’atlantismo “necessario” di Gray ed Anfuso quasi una scelta obbligata per il MSI mancando le alternative.
Per l’ex diplomatico la Nazione europea altro non era che la “Patria più grande” delle tante Nazioni presenti nel Vecchio Continente; concetto ben diverso dall’Europa dei popoli gollista sul quale Anfuso nutrì sempre dubbi e perplessità. Sull’europeismo si aprì un interessantissimo dibattito sulle pagine di “Europa Nazione“, la rivista che Anfuso fondò nel 1951 per dare spazio ai temi della politica estera nel quadro ristretto ed asfittico del MSI appena uscito dalla “nostalgica” prima segreteria di Almirante (1947-1950). Sostenitore del riarmo della Germania e di un ruolo più attivo dell’Italia in Europa, Anfuso non si stancò mai di sottolineare l’importanza di superare le ferite terribili inferte al Vecchio Continente dal conflitto mondiale.
Se convincere i militanti missini a sostenere le scelte europeiste fu difficile, spingerli ad accettare la scelta atlantica fu un’impresa titanica. Dopo la virata identitaria ed isolazionista impressa al MSI nella prima segreteria di Almirante, la scelta atlantica fu vista dal nuovo segretario missino De Marsanich e dai suoi più fidati alleati (su tutti Michelini, De Marzio, Borghese ed Anfuso) come l’occasione per far rientrare il MSI nel grande gioco politico, eludendo gli steccati di un “arco costituzionale” di cui all’epoca si stavano gettando le basi. Filippo Anfuso fu incaricato di spiegare ai quadri intermedi ed alla base del partito la teoria dell’atlantismo “costruttivo” – che sostituì quello “necessario” di Ezio Maria Gray – elaborata dal gruppo nazional-conservatore: con un articolo apparso su “Il Secolo d’Italia” (29 maggio 1952) intitolato “Apra gli occhi l’America” spiegò che Washington aveva intuito di poter trarre qualche utilità dal sostegno missino al blocco occidentale; quindi, ribaltando la vulgata classica di “sottomissione” dell’Italia ai voleri degli USA, Anfuso parlò di un ruolo costruttivo ed attivo di Roma nei meccanismi dell’Alleanza. L’articolo fu poi ristampato nel volumetto “Discorso ai sordi” edito dalla corrente romualdiana.
Tra gli anni ’50 ed i primi anni ’60 molti furono gli opuscoli a circolazione interna stampati dal MSI con i discorsi parlamentari di Filippo Anfuso sulla politica estera italiana; i quadri giovanili ed i militanti – molto spesso acerbi di problemi internazionali – iniziarono ad interessarsi di politica estera proprio grazie a quegli opuscoli, vera e propria “scuola di formazione” su un tema che molto spesso era trattato retoricamente e senza contenuti politici di rilievo. Anfuso fu anche condirettore de “Il Secolo d’Italia” dal 1953 al 1963 affiancato da Giorgio Almirante e da Franz Maria d’Asaro imponendo al quotidiano ufficiale missino la propria linea in politica estera e, di fatto, imponendola anche al partito. Del 1959 è il suo “Da Jalta alla luna”, volumetto stampato dall’Ufficio esteri del MSI, dove Anfuso analizzava da posizioni nazionaliste le principali vicende della diplomazia mondiale. Critico nei confronti dell’accordo – ma sarebbe meglio dire del mancato accordo – di Jalta, Filippo Anfuso non nascose mai le sue simpatie per la politica mediterranea ed anti-bolscevica del fascismo; politica che egli, prima da funzionario diplomatico e poi da capo gabinetto del Ministero degli Esteri con Ciano, aveva contribuito a forgiare.
Ecco dunque emergere la constatazione di un’Italia fortemente ancorata allo scacchiere mediterraneo, stavolta però non più in funzione anti-britannica ma in funzione anti-sovietica; era cambiato il nemico, ma l’Italia doveva avere sempre il suo storico ruolo di ponte ed allo stesso tempo di scudo nel Mare Nostrum. Dunque bisognava saper opporre anche dei secchi niet alla NATO se fossero serviti all’interesse nazionale italiano ed all’Europa, ma ricordando sempre che il vero nemico – e questo Anfuso non si stancò mai di ripeterlo ai camerati più “antagonisti” nel MSI – era la Russia sovietica. Quando nel 1963, parlando alla Camera, Anfuso fu colto da infarto morendo in Aula, lasciò un vuoto incolmabile nella destra italiana. La Sezione missina del Nomentano Italia a Roma fu intitolata proprio ad Anfuso – il labaro è esposto alla mostra “Nostalgia dell’avvenire” – ed è fuori da ogni dubbio che quel coltissimo, ironico e preparato politico sia stato una delle “stelle polari” della destra nazionale in Italia.
Dovendo dare un giudizio sulle idee di Filippo Anfuso si potrebbe dire che pur essendo fortemente legate al contesto storico in cui maturarono – l’esperienza della RSI e la Guerra Fredda – e dunque con tutti i limiti del caso, esse hanno comunque una carica attuale, specie se si pensa a quali siano oggi i rapporti tra Italia e Patto Atlantico: totale subalternità, al contrario di quella che Anfuso, assecondando il “né disertori né mercenari” di De Marsanich, aveva tratteggiato come una partecipazione attiva ma critica all’Alleanza. Da sostenitore della “continuità dello Stato” nella RSI e da “aperturista” nel MSI Anfuso fu sempre coerente con le proprie idee per la ricostruzione della potenza italiana e per il superamento delle contraddizioni interne alla destra italiana del dopoguerra.