– A cura di Federica Russo – Tra le prime 100 migliori Università del mondo che hanno il privilegio di veder scritto il proprio nome nella celebre classifica stilata dal Times, anche quest’anno, non sono presenti Atenei Italiani. La “World University Rankings” è nata nel 2004 ed è oggi una delle più citate classifiche, essa va a delineare un quadro preciso delle maggiori Università internazionali sulla base di dati inerenti a reputazione, pubblicazioni, studenti e dipendenti. Quest’anno il sondaggio è stato condotto su circa 10 000 studiosi di 133 paesi diversi.
Tra le prime posizioni prevedibilmente riscopriamo il dominate ruolo giocato dagli Stati Uniti nel campo dell’education con ben 43 Università presenti: California Insitute of Technology, Stanford, Harvard, Princeton tra le tante. Sul fronte europeo non delude la Gran Bretagna, con le già note Oxford e Cambridge e neppure la Svizzera e la Germania. Si evidenzia poi la continua crescita asiatica: nel 2016 il continente presenta nel ranking quasi il doppio delle strutture rispetto al 2015. Sinonimo quest’ultimo della ferrea volontà della Cina, del Giappone, della Corea Del Sud e di Singapore di continuare a tener premuto l’acceleratore sulla propria evoluzione mostrando agli occhi sbigottiti del mondo come è che ci si proietta davvero verso il futuro.
E proprio in merito a Singapore riportiamo alla mente le considerazioni inserite in un articolo del World Economic Forum dal titolo “E’ l’educazione il segreto del successo di Singapore?”, in cui sono state inserite alcune considerazioni circa l’operato di Lee Kuan Yew, uno degli artefici della maestosa trasformazione di Singapore piccolo villaggio di pescatori in Singapore città- stato. Nelle righe del testo si comprende come il Governo si sia impegnato nello sviluppo di quella che veniva definita risorsa naturale del paese, il popolo. Ciò, si legge, è stato possibile soprattutto grazie alla costruzione nel tempo di un solido sistema educativo il quale, poggiando le proprie radici nella precedente esperienza del paese in qualità di colonia inglese, ha poi saputo aprire le ali fino a divenire uno dei motori trainanti della crescita. Un approccio meritocratico quello di Singapore, che ha mirato, e tutt’ora mira, alla scoperta e alla formazione di talenti, che siano essi studenti o professori, riconosciuti e premiati dal sistema.
La lettura dell’articolo, così come della classifica, apre dunque le porte ad inevitabili e doverose riflessioni su quella che invece è la situazione in Italia. Lo stesso Phil Baty, editor del Times Higher Education, pur non nascondendo quante siano le difficoltà nell’essere scelti tra le 100 Università migliori al mondo e pur non precludendo all’Italia il merito di possedere un vasto patrimonio culturale, sottolinea la necessità di maggiori investimenti nell’istruzione al fine di riuscire a competere con gli altri paesi europei e non. (Ricordiamo che secondo i dati Eurostat, nel 2014, il bel paese risultava essere in ultima posizione in Europa circa l’ammontare di spesa pubblica destinata all’istruzione con un valore che si aggirava attorno al 7,9%. Viceversa la quantità di denaro rivolta ai servizi generali, come le spese destinate al funzionamento della Pubblica Amministrazione, risultavano ricoprire, rispetto alla media europea, livelli molto elevati.)
Ricerca e innovazione sono temi sui quali l’Italia deve saper scommettere. Si ha come l’impressione però di aver in tasca tutte le carte necessarie per “vincere la partita” ma di non saperle sfruttare. Si rifletta un attimo su quanti dei nostri giovani, veri e propri cavalli di razza Made in Italy, abbiano dovuto mettere in spalla il proprio zaino e partire al fine di veder riconosciute le loro ambizioni, i loro sacrifici e le loro capacità. Ragazze e ragazzi che venivano sminuiti anche dal politico di turno che li definiva “too choosy”, e che hanno trovato lontano da casa qualcuno che desse loro la possibilità di immettersi in questo burrascoso mondo del lavoro facendo ciò per cui avevano studiato.
Se i giovani sono la chiave per il successo di un paese, le nostre forze politiche non si stanno di certo attivando nei fatti come è stato fatto a Singapore. Cosa fa il Governo Renzi per porre un freno a questo esodo dei c.d. “Cervelli in Fuga”? Strutture e politiche adeguate, incentivi economici, fondi per la ricerca e soprattutto prospettive per il domani: queste forse sono materie su cui, più del Canone Rai in bolletta, bisognerebbe porre l’attenzione.
Sembra utile, in questa sede più che mai, ricordare quanto detto da Antonio Martino nella sua opera “Semplicemente Liberale” in merito al tema dell’istruzione. Martino scrive: ”Se vogliamo riprendere la via dello sviluppo, dobbiamo dotarci di una scuola competitiva ed efficiente, che fornisca ai giovani quel bagaglio culturale di cui hanno bisogno per affrontare le sfide del nostro tempo. […] le risorse umane sono fondamentali per lo sviluppo economico ma, per poter esplicitare le loro potenzialità debbono godere di un ambiente favorevole dove lavoro, risparmio e investimento non siano scoraggiati o impediti.”