Nato nel febbraio 2013 dalle ceneri del cartello “Alternativa Elettorale”, AfD raggruppò attorno a sé quanti in Germania contestavano l’Unione Europea, con l’intento di costituire un partito di destra capace di arrivare al governo ed allo stesso tempo di differenziarsi dal “classico” centrodestra cristiano-democratico rappresentato dalla Merkel. Seppure nelle Europee del 2014 questo partito non abbia insidiato il primato della CDU, è anche vero che, forse per la prima volta, parte dell’elettorato tedesco si era mostrato sensibile ad alcuni temi “populisti”. Con il 7,04% AfD elesse 7 eurodeputati che aderirono al gruppo dei “Conservatori e Riformisti”, di cui rappresentano la componenta interna più a destra. Il discreto risultato elettorale non portò AfD all’unificazione, anzi, il latente contrasto tra il fondatore del partito Lucke e la Petry esplose al successivo congresso di Essen nel luglio 2014. La linea populista, fortemente euroscettica e legata alle tematiche dell’estrema destra portata avanti dalla Petry risultò vincente e, dopo l’elezione a segretario della giovane imprenditrice, Lucke – da sempre conservatore ma non “populista” – abbandonò il partito.
Frauke Petry ha trasformato Alternative fur Deutschland, imponendo una sterzata a destra e dando precedenza nella battaglia politica al contrasto dell’immigrazione. Da partito anti-euro AfD è diventato un partito anti-Europa tout court, con una visione molto particolare del ruolo della Germania nel Vecchio Continente. La Germania, prima Potenza europea non potrebbe mai restare imbrigliata in un’unica unione monetaria; AfD propone quindi la possibilità di creare più unioni monetarie, o meglio, ampie reti commerciali germanocentriche. Il “germanesimo” targato Petry è un fenomeno che merita di essere analizzato per comprendere quanto ci sia di simile, ma anche quanto di diverso, rispetto alla classica visione di “Germania cuore d’Europa” tipica della geopolitica tedesca fin dall’epoca guglielmina. L’anti-europeismo di AfD è diverso da quello di altri partiti della destra europea – Front National, Lega Nord, Fidesz – perché non è “difensivo”, legato cioè alla salvaguardia della sovranità nazionale, quanto piuttosto alla creazione di uno spazio politico-economico in cui la Germania, liberata dalle catene di Bruxelles, sarebbe libera di muoversi come meglio crede.
Tuttavia si sbaglierebbe a credere che Alternative fur Deutschland abbia un programma incentrato sulla Politica estera. Sicuramente è proiettato verso l’azione esterna, ma questa proiezione è dovuta ad una serie di concezioni di Politica interna (lotta all’immigrazione, chiusura delle frontiere, rafforzamento dell’istituto referendario) e di Politica economica (uscita dall’euro, visione liberista dell’economia) che poco hanno a che fare con la Politica estera propriamente detta. E’ fuor di dubbio che AfD abbia però una “visione” politica della Germania. Resta da capire quanto i consensi di AfD (provenienti soprattutto dall’ex DDR) siano frutto di un voto consapevole, e quanto di un voto di protesta. Eppure il fatto stesso che una forma – per quanto temperata possa essere – di weltpolitik torni a lambire gli scenari politici tedeschi induce a riflettere. Quanti hanno gioito o ghignato soddisfatti per lo “sgambetto” che AfD ha fatto alla Merkel, vadano a leggersi il programma del partito della Petry prima di fare festa. La conformazione dei Parlamenti regionali tedeschi uscita da queste elezioni nasconde un germe. Il risultato di AfD non è una prima “picconata” tirata all’odiata Merkel in nome di tutti i patrioti o presunti tali del Vecchio Continente; ma la volontà di una buona fetta dell’elettorato tedesco di “volere di più”. Più della Germania prima in Europa può esserci solo l’Europa “germanizzata”, ma nessuno, europeista od anti-europeista che sia, può ambire coscientemente a questo.