A Cura di Luca M. Zanon – In questi giorni si sente molto parlare del Franco CFA – una moneta che viene definita “coloniale”, che la Francia utilizzerebbe per tenere gli Stati Africani che lo utilizzano sotto una specie di giogo economico-finanziario, impedendogli di crescere e prosperare. Una teoria interessante, che ha le sue radici nelle correnti di pensiero di monestaristi estremi (di cui la MMT di Barnard è l’esempio più famoso), ma che ha delle evidenti lacune.
Innanzitutto; cos’è il Franco CFA? Il Franco CFA (Franco della Comunità Francese dell’Africa) è una delle monete utilizzate nella cosiddetta zona franco, un insieme di zone del Mondo in cui c’è o c’è stata una presenza Francese particolarmente rilevante. Insieme al FCFA esiste il Franco delle isole Comore ed il Franco CFP (Franco del Pacifico). Il CFA, a sua volta, si divide in due monete completamente distinte tra di loro: lo XAF e lo XOF. La prima viene utilizzata nell’Africa centro-occidentale (la zona del Senegal e della Costa d’Avorio), la seconda viene utilizzata nell’Africa equatoriale (Congo, Ciad e dintorni). La sua particolarità è che è una moneta con tasso di cambio fisso legata all’Euro: ciò significa che tale moneta è scambiabile sempre per la stessa quantità di Euro, indipendentemente dalle fluttuazioni di mercato, e ciò la rende una moneta incredibilmente stabile (tanto quanto l’euro); il garante del tasso di cambio è la Banca Centrale Francese.
Ma a che serve, di preciso? Essenzialmente, il FCFA nasce con due scopi: il primo è quello di semplificare gli scambi commerciali all’interno dell’area del FCFA, un po’ come è stato l’Euro per noi. Avere un’unica moneta permette una maggiore integrazione delle economie, e se quella moneta è stabile, inoltre, è più facile attrarre investitori stranieri, che non rischiano di trovarsi da un giorno all’altro con in mano della carta straccia. Il secondo scopo, ed a mio parere il più importante, è quello di evitare che gli Stati Africani stampino moneta per finanziare la spesa pubblica. Non essendoci una radicata cultura democratica e di buongoverno, è facile correre il rischio che il dittatore di turno decida di finanziare l’acquisto delle sue Lamborghini (o degli AK-47) stampando moneta.
E allora qual è il problema? Secondo i detrattori del FCFA la Francia, controllando la moneta di queste zone, mantiene queste aree in una costante depressione economica, non permettendo lo sviluppo che, senza il FCFA, ci sarebbe. E nel farlo, guadagnerebbe tramite il signoraggio bancario, la differenza di valore tra il valore nominale della moneta ed il costo sostenuto per produrla.
In questo asserto ci sono parecchi problemi:
1: il più grande, e più banale, è che l’adesione al FCFA è su base volontaria. La Guinea ne è uscita nel 1960, il Madagascar nel 1973. Il Mali ne è uscito nel 1962 ma è rientrato nel 1984. La Guinea Equatoriale è rientrata nel 1985 e la Guinea-Bissau è rientrata 1997. Non si capisce quindi come un’unione monetaria a cui si accede su base volontaria e da cui si può uscire e rientrare secondo convenienza costituisca un capestro per gli Stati coinvolti. Tra l’altro, il FCFA non è nemmeno l’unica scelta per gli Stati che non sono in grado di dotarsi di moneta propria: lo Zimbabwe, ad esempio, dopo il caso di iperinflazione del 2008 ha iniziato ad utilizzare il dollaro americano.
2: la narrazione anti FCFA parte dal presupposto che il tasso di cambio fisso sia una cosa sbagliata. Ma è davvero cosi’? In realtà, no. Il tasso fisso è un problema per chi vuole fare politiche monetarie (che, nella stragrande maggioranza dei casi, si traducono in svalutazioni della moneta). Ma le politiche monetarie (che, ricordo, sono misure con effetti TEMPORANEI, e quindi non sono misure che strutturalmente creano benessere) non sono necessarie per creare un’economia florida. Se i fondamentali sono sani, se la produttività sale, se la spesa pubblica è bassa ed efficiente, se la rule of law viene rispettata, se questi (ed altri) semplici indicatori della salute di un’economia sono positivi, non c’è motivo di andare a fare politiche monetarie. E infatti gli Stati più attivi nell’uso delle politiche monetarie sono sempre stati gli Stati come l’Italia, perennemente ammalati e pronti ad aggrapparsi a qualsiasi cosa pur di evitare di affrontare quei fondamentali che in Italia sono tutt’altro che sani da decenni.
3: non è il FCFA che non permette tassi di crescita cinesi in Africa, ma sono gli aiuti economici che l’Occidente dà agli Stati Africani.
Senza considerare gli aiuti provenienti dagli enti privati, sono stati versati trilioni di dollari nel corso dei decenni nei conti degli Stati stessi. E questi soldi sono solo serviti a mantenere lo status quo, senza permettere la nascita e lo sviluppo di una sana economia moderna. Quello è il vero giogo sull’Africa, lo stesso giogo che I 5 Stelle si apprestano a porre attorno al collo dei disoccupati Italiani. Un reddito di cittadinanza che rende inutile lavorare, uccidendo quindi la prima fonte di ricchezza di ogni economia, il lavoro prodotto da chi ne fa parte. Riporto qui un passaggio da La carità che uccide, libro di una delle più famose economiste Africane, Dambisa Moyo: “L’Africa è drogata di aiuti. Negli ultimi sessant’anni è stata nutrita di aiuti. Come ogni drogato ha bisogno e dipende dalla sua dose, e trova difficile se non impossibile contemplare l’esistenza di un mondo senza aiuti.”
In ultima analisi, il problema di fondo è di metodo: la moneta è un’unità di misura. Possiamo utilizzare i metri anziché i pollici, o le libbre anzichè i grammi, ma ciò non cambierà mai la lunghezza reale di ciò che andiamo a misurare. Allo stesso modo, possiamo utilizzare il FCFA, l’Euro o le rupie svervegesi, ma la ricchezza prodotta sarà sempre la stessa, perché essa dipende dai fondamentali di fondo. Che, però, sono molto più complicati da sistemare di un tasso di cambio.