Egyptian demonstrators hold the flags of Arab nations at Cairo's Tahrir Square on May 13, 2011 during a protest calling for national unity after attacks on Egyptian churches, and solidarity with the Palestinians as they mark the "Nakba" or "catastrophe" which befell them following Israel's establishment in 1948. AFP PHOTO / KHALED DESOUKI

– di Filippo Del Monte – Una forte corrente di pensiero ha tentato nel corso degli anni di influenzare (in alcuni casi riuscendoci) la Politica estera italiana: quella nazional-populista. In questo caso l’aggettivo “populista” non ha nulla di negativo, è semplicemente il migliore per identificare alcuni dei temi cari a questa corrente oltre, naturalmente, all’interesse nazionale. Collegare la nostra azione politico-diplomatica alla soluzione di problemi in un certo senso “sociali” ha dato vita al filone nazional-populista. Un tempo legati al mito della “Grande proletaria” e poi dell’Impero, i nazional-populisti non possono comunque essere inquadrati nell’ambito “ristretto” del Fascismo o del Nazionalismo corradiniano, questo perché la loro influenza fu determinante per alcune scelte fatte dalla Democrazia cristiana (e malviste dal Movimento Sociale Italiano) negli anni ’70.

Nel corso della crisi petrolifera (1973-1979) nell’Italia, stretta tra la morsa americana di Kissinger e le bordate “terzomondiste” delle sinistre, si fece strada l’idea secondo cui Roma avrebbe rafforzato la sua presenza nel Mediterraneo ed in Medio Oriente solo legandosi ai Paesi arabi. A più di qualche politico e diplomatico balenò l’idea di “impugnare una pacifica Spada dell’Islam” come ha scritto Sergio Romano, quindi di riportare in auge, su basi nuove, quel progetto (sepolto dopo la caduta del Fascismo) di fare dell’Italia un punto di riferimento per i popoli mediterraneo-levantini . Quel piano non funzionò vista l’opposizione di gran parte dell’opinione politica conservatrice in patria e per i sabotaggi degli Stati Uniti all’estero. Però un dato di fatto restava, il nazional-populismo aveva ancora seguito nell’Italia repubblicana e nei momenti di crisi del sistema internazionale puntualmente si ripresentava ponendo all’opinione pubblica ed alla classe dirigente un difficile quesito: essere l’ultima delle Potenze europee o la prima delle Nazioni mediterranee?

Al giorno d’oggi lo scenario politico-strategico mondiale è di nuovo in subbuglio ed una media Potenza come l’Italia ha il gravoso compito di garantire la stabilità della propria regione d’interesse. Con gli Stati Uniti sempre più protesi verso l’Asia (secondo la strategia obamiana del Pivot to Asia) e le Potenze europee che giocano in proprio la partita per il Nord Africa l’Italia può rispolverare le concezioni nazional-populiste? Una cosa è certa, fare gli equilibristi tra euro-atlantismo e “mediterraneismo” prima o poi ci porterà a cadere dall’una o dall’altra parte a discapito della nostra credibilità internazionale già pesantemente intaccata. La chiave di volta dell’intera vicenda starebbe proprio nel capire quali rapporti ci legano ai Paesi arabi e quanto sia conveniente sostenerli (e farci sostenere da loro): puntare sull’Egitto di al-Sisi è sicuramente una mossa vincente ma è un rischio perché al tavolo da gioco con noi siedono anche la Russia ed i Paesi ad essa legati. Stessa cosa potrebbe dirsi della Giordania. Per quanto invece riguarda i rapporti con l’Iran il discorso è più complicato; ora che Teheran ha smesso di essere un “paria” nella Comunità internazionale si aprono enormi opportunità per le nostre imprese (come all’epoca di Enrico Mattei che proprio accordandosi con gli iraniani ingannò le “Sette sorelle”) ma i nostri rapporti con Israele e l’asse franco-inglese sarebbero compromessi.

Quando le strategie “autonomiste” d’impronta nazional-populista furono portate avanti da Mattei, così come da Moro, Roma godeva ancora di una certa autonomia in Europa, non aveva legami così forti con Parigi e Londra. Ora, con l’Unione europea, mentre le grandi Potenze (o presunte tali) riescono ancora a condurre politiche parallele alla PESC mogheriniana, l’Italia non è più in grado. La nostra azione diplomatica si limita a sbandierare di essere protagonisti, a recitare il ruolo di comparse ed a non essere considerati nemmeno tali dagli “alleati”. Anni di ambiguità ci hanno portati a questo, proprio ciò che i nazional-populisti (pur con i loro limiti) volevano evitare. E’ il destino di una Nazione “ponte” tra due mondi, l’Europa ed il Medio Oriente, tentare di fare i propri interessi mantenendo il dialogo aperto con tutti e ritrovarsi puntualmente isolata perché giudicata infida ed ambigua. A seconda dell’interlocutore giochiamo o il ruolo di alleato inaffidabile o di “quinta colonna” dell’Occidente senza poter mai esporre le nostre ragioni o, meglio ancora, senza mai poter dettare condizioni senza che ci ridano in faccia.

E’ per la debolezza italiana nel mondo che periodicamente riaffiorano i paradigmi nazional-populisti; e sarebbero anche un’alternativa credibile, capace di garantire all’Italia il suo “equilibrio”, di trasformare il suo ruolo di “ponte” in un punto di forza, di far si che il nostro “peso determinante” (teorizzato da Grandi) non sia dovuto solo alla posizione geografica ma anche alla rete di contatti con i Paesi mediterraneo-levantini. A quale condizione potremmo fare tutto ciò? Prima di tutto smettendo di condurre la Politica estera come conduciamo quella interna, con insulsi giochi di palazzo e congiure da operetta. Ci si lamenta di non avere le risorse necessarie ma la risposta potrebbe essere che le risorse vanno cercate e non si deve attendere che qualcun altro per bontà di cuore ce le fornisca. L’Italia reclama il suo posto nel mondo ma lo fa con voce stridula, nessuno la potrà (e vorrà) sentire fino a che non ne prenderanno coscienza a Roma.