– di Filippo Del Monte – In un discorso al World Social Forum del 2005 l’allora presidente venezuelano Hugo Chavez utilizzò la definizione di “Socialismo del XXI Secolo” per descrivere la propria dottrina politica, quella che, avrebbe finalmente liberato il Venezuela e l’America Latina dal gioco statunitense. In pochi anni sembrò che l’ex colonnello dei paracadutisti Chavez dovesse avvolgere l’intera America meridionale con una bandiera rossa, quella delle lotte di liberazione nazionali, delle statalizzazioni e della democrazia diretta (vero “pallino” del chavismo).

La morte di Chavez ha invece smascherato il grande bluff che si nascondeva dietro i paventati successi della rivoluzione bolivariana in Venezuela: un movimento politico all’apparenza “democratico” s’è invece rivelato sanguinario ed autoritario; un Paese produttore di petrolio è entrato in crisi economica; farmacie e supermercati hanno gli scaffali vuoti generando una situazione da “tracollo post-sovietico” che ricorda molto i Paesi dell’Europa orientale nei primi anni ’90.

Poi, ultimo affronto, il golpe istituzionale di Maduro che ha annullato, tramite una Corte compiacente, i poteri del Parlamento e dunque spento la voce dei cittadini e dei partiti d’opposizione. Il popolo venezuelano però s’è sollevato marciando nelle strade, scontrandosi con la Guardia Nazionale Bolivariana in assetto antisommossa  decretando la spaccatura definitiva del Paese reale prostrato, affamato ed impoverito dal Paese legale pregno di retorica ma capace più di sventolare manganelli contro i propri cittadini che non di resistere agli attacchi esterni di quelli che sono sempre stati i nemici storici del Venezuela in agguato per dividersi le spoglie di quello che una volta era una delle perle del Mar dei Caraibi.

Agenti della Guardia Nazionale Bolivariana armati di lacrimogeni a Caracas.

Non facciamoci ingannare dalle immagini trasmesse in televisione; in Venezuela non esiste una polizia “cattiva” che spara contro folle “inermi”; quelle folle hanno saputo reagire, lo testimoniano i ragazzi caduti negli scontri di piazza e l’inaudita ferocia con cui la Guardia Nazionale Repubblicana tenta di reprimere un movimento che da protestatario sta diventando giorno dopo giorno una forza rivoluzionaria. Maduro è obbligato allo scontro frontale, è obbligato a combattere con ogni arma disponibile questa guerriglia di strada perché ne va della sopravvivenza del regime ed ogni giorno in più concesso ai rivoltosi equivale ad un giorno in meno per il “socialismo” venezuelano. Questo il presidente golpista lo sa bene, così come lo sanno i maggiorenti del PSUV e le alte sfere militari. Il paradosso però è che mentre le manganellate possono garantire le ultime boccate d’ossigeno ad un corpo politico ormai in disfacimento, nel prossimo futuro non garantiranno più il consenso delle masse che negli anni precedenti aveva fatto la fortuna di Chavez.

Le roccaforti chaviste nei quartieri popolari e nelle baraccopoli delle grandi città sono crollate sotto i colpi della crisi. Anzi, molti di quelli che erano stati accesi sostenitori del PSUV e che avevano inondato le strade di Caracas con maglie e cappellini rossi adesso sono dall’altra parte delle barricate, con quanti lanciano molotov contro le pattuglie militarizzate della GNB. Questo dimostra quanto il consenso – a volte veramente di massa – per il regime bolivariano fosse legato sostanzialmente al soddisfacimento di bisogni immediati; nel momento stesso in cui il governo, a causa della propria politica miope, isolazionista ed autoreferenziale, ha portato al tracollo economico il Paese, quella macchina del consenso si è inceppata, forse definitivamente.

La risposta del popolo venezuelano alla repressione: la guerriglia urbana senza quartiere.