– di Filippo Del Monte – La Brexit ha trasformato in profondità la politica e la diplomazia di Londra, ha impresso una svolta nella “auto-percezione” geopolitica del governo di Sua Maestà Britannica. Il premier conservatore Theresa May – salita al potere dopo le dimissioni di Cameron in seguito alla vittoria del leave – sta interpretando il proprio mandato in chiave rivoluzionaria rispolverando quell’idea dal gusto antico che in Gran Bretagna prende il nome di “patriottismo imperiale”, e cioè la vocazione globale di Londra da sostituire a quella “ristretta” euro-centrica bocciata dagli elettori il 23 giugno 2016. A quasi un anno dallo storico referendum l’obiettivo della May è quello di riequilibrare la politica estera britannica sul proprio “asse tradizionale” con proiezione mondiale; divenuto obsoleto il progetto europeista – per la verità mai sponsorizzato con convizione da politici e diplomatici al di là della Manica – a Downing Street hanno deciso di “tornare all’antico” battendo con sicurezza la strada tracciata da circa tre secoli d’egemonia marittima e coloniale.
Quella che Theresa May ha definito Global Britain è un progetto di blocco geopolitico alternativo il cui fulcro sono i rapporti tra un “centro irradiatore” (la Gran Bretagna) ed il proprio disciolto impero coloniale. Dismessi i panni della Potenza coloniale, la Gran Bretagna può senza dubbio vestire quelli della Potenza “trainante”; è la stessa struttura del Commonwealth a consentirglielo ed a garantirgli l’agibilità politica utile a schivare i contraccolpi dell’abbandono dell’Unione Europea, cosicché la prestigiosa e preziosa “Anglosfera” da gommone di salvataggio s’è trasformata in trampolino di lancio per la nuova fase espansiva della diplomazia della May.
Il segretario del Commercio internazionale del Commonwealth Mohammad Razzaque aveva proposto qualche tempo fa progetti di accordi bilaterali tra Londra e le sue ex colonie, facendo del commercio un ulteriore strumento d’interazione da affiancare ad un condiviso patrimonio storico e culturale. Facile non solo a dirsi ma anche a farsi perché il Foreign Office ha sapientemente mantenuto buoni rapporti con le ex province imperiali nel corso di questi anni. Modello decisamente da seguire quello impostato da Whitehall e che potrebbe essere da esempio per Marine Le Pen che per attuare la propria idea di “Francosfera” non dovrà solo vincere le elezioni presidenziali, ma anche attivarsi per riportare sui binari i rapporti con i Paesi della Francophonie rovinati dalle politiche sterili e dannose di Sarkozy ed Hollande.
Tornando alla Gran Bretagna, i capisaldi della sua politica estera rimodellata non possono che essere gli Stati Uniti, l’India, la Nuova Zelanda e la Cina. La ricostruzione della special relationship tra Washington e Londra è un programma condiviso sia da Trump che dalla May. Quello strano mix di sovranismo e liberismo che ha contagiato tanto gli USA trumpiani che la Gran Bretagna post-referendum potrebbe essere la molla “ideologica” da far scattare per riavvicinare le due Potenze anglosassoni con danni ingenti sui piani politico-diplomatico ed economico per l’Europa. L’inquilino della Casa Bianca infatti non ha mai fatto mistero della sua “anglofilia” e del suo scetticismo nei confronti dell’Unione Europea; basti vedere la reazione di giubilo con cui Trump – all’epoca candidato alla presidenza – ha salutato i risultati del referendum britannico o la conferma, da parte dei consiglieri della Casa Bianca, dell’esistenza di un rapporto preferenziale con il governo di Londra.
Se i rapporti con la Nuova Zelanda sono stati un banco di prova importante per l’ex sindaco di Londra Boris Johnson, ora sul ponte di comando a Whitehall, per la loro forte carica simbolica, è anche vero che una rafforzata partnership con Wellington può riportare gli interessi britannici a lambire le coste dell’Emisfero australe in una sorta di “corsa verso l’Asia” che segnerà probabilmente una importante parentesi geopolitica di questo inizio di XXI Secolo. Di pari passo i dossier sull’India – quella che un tempo era il diamante più splendente sulla corona imperiale britannica – sono tornati in cima alle scrivanie del Foreign Office. Lo stesso primo ministro indiano Narendra Modi ha espresso a Theresa May il desidero di rafforzare i contatti con Londra, magari con la firma di un accordo commerciale bilaterale; occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare quella proposta da New Delhi alla antica Madrepatria.
Si è detto mix di sovranismo e liberismo a proposito della “dottrina May”; ebbene questa potrebbe essere la ricetta vincente per tessere rapporti ottimi con la Cina, nuova campionessa della globalizzazione. Senza più i vincoli UE la Gran Bretagna potrebbe – ed a Londra ci si chiede per quale motivo non si dovrebbe almeno tentare ad imboccare questa strada – aprire il proprio mercato, e quello della “Anglosfera”, a prodotti ed investimenti cinesi. Se la city di Londra mantenesse il primato mondiale quale piazza finanziaria, allora le relazioni tra Londra e Pechino decollerebbero con una prospettiva decisamente win-win: la Gran Bretagna potrebbe disporre di capitali fino a questo momento “bloccati” e guadagnare l’amicizia di una Superpotenza; alla Cina si aprirebbe invece un mercato dalle enormi potenzialità e finora rimasto una chimera a causa del “protezionismo” dell’Unione Europea. Questa nuova “via della seta” anglo-cinese sarebbe l’ennesimo scacco subito da una UE impastoiata nella propria burocrazia ed incapace di essere un attore di primo piano sulla scena internazionale.
La Global Britain assomiglia sotto molti aspetti all’Impero Britannico d’epoca vittoriana; la politica estera di May e Johnson sembra proprio ispirata agli stessi principi che fecero della Londra di Disraeli e Gladstone alla fine dell’800 ma con una radicale novità: i rapporti con la Cina. Resta da vedere se, proprio come l’Impero della Regina Vittoria, la Gran Bretagna di Theresa May tornerà con forza anche nello scacchiere mediterraneo. La flebile ma comunque significativa apertura di Johnson ad una permanenza di Assad al potere in Siria lascia pensare ad un rinnovato protagonismo sulla scena mediterraneo-levantina, protagonismo che potrebbe rivelarsi deleterio o una grande opportunità anche per l’Italia. Una grande Potenza che sembrava sepolta sotto la polvere della storia sembra essere risorta; la bandiera dell’Impero torna a garrire sui torrioni di Londra.