– A cura di Andrea Rapisarda e Giovanni Russo – Di sanità pubblica italiana oramai ne sentiamo parlare ogni giorno, tra gravi scandali che vedono protagonista questo sistema e i numerosissimi disagi che colpiscono i pazienti – insieme gli stessi medici – all’interno dei vari ambulatori d’assistenza. Già un anno fa denunciavamo su queste pagine il gravissimo stato sanitario di questo Paese, che stava letteralmente collassando tra le inadempienze del Ministero della Salute e delle varie Regioni italiane. Oggi la situazione dei vari ambulatori pubblici è peggiorata, tra numerosissimi disservizi e chiusure dei centri sanitari in tantissimi distretti cittadini.
Parliamo di Ostia, quel “mare di Roma” sempre più allo sbando sul fronte sanitario e isolato dalle tutele istituzionali. L’Ospedale Giovan Battista Grassi vede aumentare con il passare dei giorni le sue criticità, recando numerosissimi problemi ai pazienti che ne chiedono assistenza e a tanti medici che dovrebbero lavorare in quell’inferno ospedaliero. Il servizio di pronto soccorso si mantiene sulla professionalità e lo voglia di fare della sua equipe medica, che meriterebbe un’ode eroica per ogni vita salvata in quelle condizioni strutturali così difficili: manca il personale necessario per soddisfare le richieste di un territorio da 300’000 e passa abitanti, non calcolando poi i residenti delle zone limitrofi – Torvaianica e Fiumicino – che ugualmente usufruiscono del servizio sanitario per la vicinanza a casa.
Le assunzioni sono bloccate (specie quelle degli infermieri), in una situazione che ostruisce qualunque soccorso in caso d’arrivo di un codice rosso: qui i pochi medici presenti devono obbligatoriamente assistere tutti insieme al soccorrimento del paziente in gravissime condizioni, stoppando così per ovvi motivi le assistenze mediche ai codici meno gravi e dando via così alle lunghissime attese in corsia. In una situazione già così grave si va ad aggiungere la mancanza di posti letto per i pazienti, in un problema che provano a risolvere inserendo per i corridoi le barelle delle varie ambulanze territoriali: una realtà paradossale che blocca i soccorsi mobili sul territorio, nella disperazione degli stessi operatori addetti. Si aggiungono poi i locali inutilizzati all’interno della struttura ospedaliera e i turni di lavoro ai limiti dell’umanamente possibile, dove un medico deve rispettare orari di lavoro frenetici per la mancanza di personale: una problematica che pesa soprattutto sui medici più anziani e che a sessant’anni difficilmente possono mantenere certi ritmi con una lucidità necessaria alla cura di pazienti ospedalieri (uno status difficile da mantenere anche per colleghi più giovani). Ostia non è solo il caso del Grassi a livello sanitario: ricordiamoci la situazione del Centro Paraplegici Ostia, una rinomata eccellenza del litorale – e della stessa Italia – lasciata ora allo sbando nonostante un tempo era meta di atleti olimpionici per i recuperi fisici. Lo stesso centro di tossicodipendenze del litorale che è lasciato da anni in balia dell’abbandono istituzionale: recentemente ha cambiato sede per criticità strutturali ed è stato posto – e lo era così anche prima – nelle vicinanze di un asilo, in una zona forse non idonea a un ambulatorio del genere (che probabilmente dovrebbe essere localizzato all’interno dell’ospedale o nei suoi pressi).
Tutto questo accade mentre il ministro Lorenzin viene dal territorio di Ostia e nelle sue visite nella terra natale evita il confronto con i diversi operatori sanitari del litorale: invece di vedere personalmente le condizioni del pronto soccorso all’interno del Grassi, preferisce andare a passeggiare a piazza Anco Marzio o visitare in campagna elettorale un convento di suore locali. Le stesse colpe ricadono sul presidente della Regione Lazio Zingaretti, che ha fatto vedere in questi anni forti mancanze verso il territorio lidense e i suoi ambulatori sanitari pubblici.
Poi c’è la Campania, e la “Notte di Nola”. Un dramma nazionale. Come in un ospedale di guerra, come in un fortino assediato dopo una tremenda notte di affanno. Il giorno dopo è quello del duro risveglio dell’adrenalina vissuta nell’emergenza, senza aiuti e senza alternative possibili. Con le immagini di quei malati curati per terra. Con i due infartati fatali, gestiti con pazienti morenti su una sedia, in attesa di una manovra di rianimazione. Con un Pronto Soccorso del tutto inadeguato per un flusso di persone con l’incubo della meningite, ma per lo più affette solo dall’influenza.
La notte di Nola è una vergogna. Tanto più grande quanto più tutti sanno che una buona equipe di medici a domicilio e un servizio di ambulanze ben coordinato da una centrale unica per il dislocamento dei pazienti, avrebbe scongiurato molti di quegli inutili ricoveri, che hanno mandato in tilt il Santa Maria della Pietà di Nola. Eppure sembra che in Campania il filtro della medicina di base non esista più, perché la medicina di base in Italia è morta prima dei pazienti, quando ha rinunciato ad assumere un ruolo nell’emergenza. Eppure la rete unica del 188 è ancora un’utopia in molte regioni, dove ancora il sistema sanitario è un agglomerato di ospedali, reparti, divisioni che vivono come monadi, soffrono di un autismo corporativo che nessun ministro, nessun governatore hanno finora scalfito. E se a Ostia il ministro Lorenzin sfugge, in Campania il Governatore De Luca, lo “sceriffo” con la pistola ad acqua, fa lo scaricabarili, non smentendo il suo motto: forte coi deboli, debole coi forti. Dispone l’apertura immediata di un’indagine interna, quindi su se stesso in quanto Commissario alla Sanità, e un’ispezione del Nas, recitando un copione già visto salvo poi vedere applicate le “giuste” correzioni. I tre dirigenti medici dell’ospedale sospesi dal servizio in attesa dell’esito delle indagini interne, pagano per ora per tutti, ma di più non avrebbero potuto fare in quelle condizioni. Purtroppo il disastro della sanità campana, certificato persino dal governo, non si affronta tentando di scaricare le colpe su tre medici di un ospedale di provincia. Le persone stese per terra negli ospedali, la paralisi nell’erogazione dei servizi ai malati, le mancate forniture di attrezzature e di strumenti di lavoro non ci sono soltanto a Nola e soprattutto non dipendono da chi opera in condizioni sempre più precarie, ma come ha prontamente sottolineato il Vescovo di Nola, da chi è incapace di amministrare e di governare. La verità è che nessuno coordina nessuno. Perciò al ministro Lorenzin chiediamo: perché nella convenzione della medicina generale non si introduce finalmente l’obbligo di assicurare un filtro a domicilio e che le emergenze siano coordinate da un’agenzia unica in grado di assumere decisioni rapide? Al Governatore De Luca chiediamo: perché i nuovi manager delle Asl da lui nominati non sembrano all’altezza di incidere su un’organizzazione che fa acqua da tutte le parti? Non è che accentrare su di sé la gestione di ogni processo e quindi paralizzare tutto, circondarsi di mediocri yes-men, pensare solo a “piazzare” pedine, utili per i suoi giochi politici e non per il bene dei cittadini campani, sia responsabilità di colpe gravissime?
Le famose case della salute o i progetti di assistenza territoriale h24, e la famosa rivoluzione sanitaria fatta non a misura dei vertici nazionale e regionali, commissari e governatori, direttori sanitari e manager, ma a misura dei malati, di cui finora in Campania non c’è traccia, sono ancora purtroppo solo, parole, parole, parole…