A cura di Andrea Rapisarda – Fare politica a Destra non è mai stato semplice in Italia, con un clima che ha balenato sempre ostilità e violenze tra quelle che sono state le fazioni neofasciste e gli ambienti della sinistra estrema. Storie di tafferugli, rappresaglie, sangue lungo le strade e purtroppo morte… spesso di giovanissimi militanti. Il 1978 fu un particolare per il Movimento Sociale Italiano, poiché per questa realtà politica si aprì la strada a una legittimazione parlamentare sotto la guida del suo segretario Giorgio Almirante: si respirava l’aria degli “anni di Piombo”, tra una pericolosa instabilità politica dell’Italia e una vera guerra civile tra i missini e gli ambienti più radicali della sinistra. Erano gli anni del motto “uccidere un fascista non è un reato!” e di una democrazia messa in atto solo a parole, viste le violente censure che furono applicate alle realtà missine dalle forze statali e dagli oppositori politici.
Il 7 gennaio 1978 un gruppo di ragazzi del Fronte della Gioventù uscì dalla sezione del Movimento Sociale in via Acca Larentia: nel tardo pomeriggio era stato organizzato un volantinaggio per pubblicizzare il concerto del gruppo di musica alternativa “Amici del Vento”. Usciti dalla sede missina, i cinque ragazzi furono raggiunti dai colpi d’armi automatiche provenienti da un gruppo armato che poi si rivendicherà essere quello dei Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale (una realtà vicina a Lotta Continua e alle Brigate Rosse): sul colpo morirà Franco Bigonzetti, un giovane ventenne studente di medicina. Perderà la vita anche Francesco Ciavatta, che rimasto ferito nello scontro a fuoco provò a scappare sulla scalinata adiacente alla sezione: inseguito dai suoi carnefici, il ragazzo sarà raggiunto nuovamente alla schiena e spirerà durante la corsa in ambulanza. Si salverà in quel tragico epilogo Vincenzo Segneri (rimasto ferito al braccio nell’occasione), Maurizio Lupini e Giuseppe D’Audino, che scamparono al sanguinoso agguato chiudendosi dietro la porta blindata della loro sede politica.
Il clima di tensione non si arrestò quel giorno, visto che un giornalista Rai fece cadere una cicca di sigaretta sul sangue di una vittima della strage: mentre nell’intero MSI andò diffondendosi la tragica notizia della sparatoria – con la morte dei due giovani – e si organizzava un sit-in di protesta per l’episodio, il gesto irrispettoso dell’inviato creò ulteriori violenti tafferugli. Per sedare una situazione già complicatissima e tesa, i carabinieri decisero di sparare dei colpi in aria. In questo frangente sparerà anche il capitano Eduardo Sivori, che dopo aver inceppato la propria pistola decise di sparare con quella del suo attendente ad altezza uomo: il colpo centrerà alla testa Stefano Recchioni, militante di Colle Oppio che morirà dopo due giorni di atroce agonia.
Per questa strage ancora lo Stato italiano non ha trovato responsabili e neanche è stato capace di chiarire nel migliore dei modi le dinamiche dell’accaduto, tra continui sviluppi e passi indietro nelle indagini condotte da quasi quarant’anni a questa parte. Rimane la testimonianza della pentita Livia Todini del 1988, che fece incarcerare dei militanti di Lotta Continua: Cesare Cavallari, Fulvio Turrini, Francesco de Martiis e Mario Scrocca. Quest’ultima persona si tolse la vita in carcere, successivamente all’interrogatorio tenuto con i giudici che seguivano il caso. Gli altri tre ragazzi invece furono vergognosamente assolti in primo grado per insufficienza di prove, in una sorte che toccherà anche l’imputata latitante Daniela Dolce (in seguito scappata in Nicaragua). Nonostante l’uccisione di Stefano Recchioni, anche il capitano Eduardo Sivori non subì sanzioni giudiziarie o disciplinari da parte dello Stato italiano.
Un insieme di fatti gravissimi dove ancora non si vede la luce della verità, ostacolata probabilmente da fitte trame dal sapore politico e di complicità istituzionale. Un gioco sadico di potere che ha mietuto le vite di giovani militanti, che avevano la solo colpa – agli occhi dei loro carnefici diretti o indiretti – di lottare per la loro idea e di stare dalla “parte sbagliata” della barricata. Il sacrificio di questi ragazzi deve rimanere impresso per sempre nel tempo, per far capire soprattutto ai più giovani il valore di esprimere la propria idea liberamente nonostante il clima di terrore e di ostilità. Far sentire come la storia di una certa area politica è fatta di profonda sofferenza per portare le proprie tesi avanti e come quei ragazzi persero la vita nonostante fossero coetanei degli attuali giovanissimi che frequentano le tante sezioni di Destra italiane. Un peso morale che non deve farci indietreggiare davanti a provocazioni o atti intimidatori, facendo vincere la Fiamma dei nostri cuori contro chi vorrebbe riaccendere il violento clima da guerra civile e allontanare quindi le posizioni di una pacificazione nazionale mai avuta: si veda la recente bomba di Firenze davanti alla libreria di Casapound, che ha rovinato irrimediabilmente la vita a un artificiere e poteva generare una strage di più ampie dimensioni senza il sacrificio di quest’uomo!