– a cura di Antonio Pezzopane – E’ una tranquilla ed assolata domenica di Dicembre, il giorno 12, che consegna all’Italia quello che probabilmente sarà il 64° Presidente del Consiglio della storia repubblicana. Paolo Gentiloni, Ministro degli Affari Esteri di Renzi, politico di lungo corso che ha ricoperto molti incarichi di responsabilità ha ricevuto l’incarico dal Presidente Mattarella di formare il nuovo governo e si accinge a dare il via alle sue consultazioni. Come nella personalità del Premier in pectore: nessuna sorpresa. Non sorprende il profilo dell’uomo scelto al termine di questa ennesima crisi di governo: nome tutto fuor che divisivo, dimesso, cresciuto nel ventre dell’attuale partito di maggioranza relativa, proprio come il Presidente della Repubblica che gli ha affidato l’incarico. Sembra proprio essere il tempo degli uomini della riconciliazione, degli “Ugo Capeto”, Re di Francia incoronato a cavallo dell’anno mille dalle litigiose famiglie nobili d’oltralpe perché ritenuto innocuo.

Però, in questo procedere senza colpi di scena, davvero scopriamo qualcosa che deve farci sobbalzare sulla sedia: siamo tornati nella prima Repubblica!

A volta capita durante la storia di comprendere il significato di ciò che accade solo dopo aver incastrato l’ultimo tassello: succede in questi giorni nient’altro che il più classico dei meccanismi del nostro sistema parlamentare che così ha funzionato per decenni. Fu la discesa in campo di Silvio Berlusconi a polarizzare la politica italiana ed a trasferire lentamente agli elettori la sensazione che la loro fosse un’elezione diretta di chi li avrebbe governati. Certamente durante quello che viene definito il ventennio berlusconiano vi furono diversi governi che mai ricevettero un’investitura dalle urne ma furono sempre mal tollerati; quell’esposizione mediatica del leader Silvio Berlusconi, ed il conseguente adattamento dei suoi avversari a questa strategia, determinarono il definitivo passaggio in secondo piano dello strumento del partito nella vita politica dell’Italia. Occorre tener presente però che tale elemento di evoluzione nell’immaginario collettivo degli italiani non ha mai trovato posto nella Costituzione e quindi nell’architettura istituzionale se non in una legge ordinaria, quella elettorale, il cosiddetto “Porcellum” che prevedeva che partiti e coalizioni dichiarassero il loro capo al momento del deposito delle liste. Da questa divaricazione tra comune sentire ed effettivo funzionamento delle Istituzioni nasce l’insofferenza e l’aura di illegittimità che ha avvolto gli ultimi tre governi e si prepara ad accogliere il quarto “non eletto dal popolo”. Nemmeno la riforma di Renzi bocciata il 4 Dicembre prevedeva di sanare questa contraddizione, né con l’elezione diretta del Premier né con quella del Presidente della Repubblica che lo nomina.

Così se la storia volesse dare un nome al periodo che va dalle dimissioni di Silvio Berlusconi nel 2011 ad oggi, potrebbe non a torto utilizzare l’espressione di “Prima Repubblica bis”: una fase politica che differisce dal passato solamente per l’attualissima, forse temporanea, legge elettorale maggioritaria in vigore alla Camera, l’Italicum. Con un Senato per ora eletto su base proporzionale, un partito di maggioranza relativa dove i democristiani la fanno da padrone, formazioni politiche disponibili o meno a formare maggioranze: viene da pensare che con la fine dell’ultimo governo Berlusconi e lo stop di Renzi dovremmo abbandonare ogni velleità di elezione diretta per piombare nuovamente nel parlamentarismo più spinto.