– di Filippo Del Monte – Il centrodestra ha vinto la battaglia referendaria, ma come in tutte le battaglie sul campo sono rimasti dei caduti. Il più illustre di questi caduti è proprio il vecchio centrodestra come finora lo abbiamo conosciuto. Il casa del centrodestra la vittoria nel referendum costituzionale impone un’assunzione di responsabilità. Le elezioni sono vicine, non si terranno nel 2018 come previsto, e se anche così fosse i ritmi sono ormai troppo accelerati per consentire a Meloni, Salvini, Berlusconi e Parisi di scannarsi tra loro senza invece andare alla conquista dell’elettorato.
Il centrodestra unito – stando agli ultimi sondaggi – supererebbe di misura il M5S ma sarebbe ancora di poco sotto al PD; ergo, visto che dar vita ad una coalizione appare oggi impossibile, l’Italia di centrodestra è ridotta ad essere il “terzo polo” del Paese con possibilità di influire sui meccanismi politici decisamente inferiori rispetto a quelle dei suoi più diretti avversari. L’estrema frammentazione del centrodestra si è palesata nel momento in cui i leader di partito hanno rivendicato ognuno la “propria” vittoria nel referendum. Posto che oggi in Italia esistano in embrione un “centro che guarda a destra” (Forza Italia, neo-centristi di varia estrazione e Parisi) ed una “destra sovranista” (Fratelli d’Italia e Lega Nord) conviene davvero invocare elezioni immediate? Il rischio “suicidio” per tutto il centrodestra sarebbe particolarmente alto.
Infatti non è tanto la frattura del centrodestra classico – ormai consegnato alla storia – a suscitare dubbi, bensì l’esistenza di progetti sì interessanti, sì spendibili, ma ancora tutti da costruire. Un esercito non può combattere senza proiettili o con le baionette spuntate e potrebbe anche avere i generali più esperti; occorre invece che gli strumenti per vincere gli siano forniti. Il progetto di Parisi ha il riconoscibile odore della naftalina ma difficilmente potrebbe allontanare per lungo tempo i tarli di un’esperienza già fallita. Il nascente sovranismo italiano ha invece riferimenti ancora flebili per essere forza trainante e convincente nel panorama politico nazionale. In un Paese che passa schizofrenicamente dall’ubriacatura per il loden a quella per l’eskimo e viceversa, le attuali declinazioni del fu centrodestra potrebbero non essere rappresentative.
La percentuale dei votanti in questo referendum è un segnale chiaro: gli astensionisti cronici sono “recuperabili”, purché vengano convinti con proposte credibili e la trattazione di temi importanti. E’ matematicamente impossibile che la “nuova” massa elettorale saltata fuori dalle urne del 4 dicembre sia solo figlia della sinistra o del grillismo; è invece probabile che buona parte di quella “destra diffusa” sempre evocata e mai compresa abbia deciso di farsi sentire proprio con questo referendum. A dimostrazione, se ancora una volta ce ne fosse bisogno, del fatto che in Italia un popolo di destra esiste ma ha bisogno di rappresentanza.
Il referendum mette il centrodestra dinanzi alla responsabilità si è scritto all’inizio. Ebbene questa responsabilità impone al centrodestra – con tutte le sue forze, nessuna esclusa – alla scrittura di una legge elettorale che eviti l’instabilità del Consultellum od altre tentazioni proporzionali deleterie e solo a quel punto andare alla prova del voto. Farsi prendere ora dalla sindrome delle elezioni anticipate spingerebbe di nuovo il centrodestra fuori dai meccanismi parlamentari e politici che contano. Si eviti di fare una “politica di testimonianza” proprio ora che si è vicini ad una sfida storica. La “grillizzazione” del centrodestra è un fattore da tenere in considerazione per quanti strepitano per le elezioni immediate; cosa potrebbe opporre un centrodestra tutto da costruire al nulla grillino se non un altro, ancor più vuoto nulla?
Comunque si decida di procedere la strada da seguire è una sola: dare contenuti al centrodestra (o al centro-destra, trattino incluso) e chiudere definitivamente la stagione dei casting televisivi. Questo è l’unico modo per recuperare il proprio elettorato ed aprire le porte ad istanze nuove, anche provenienti da altre realtà, ma sempre con la consapevolezza della propria identità. A margine di questa riflessione sorge spontanea una domanda: siamo così sicuri che i cittadini inseguano la “semplificazione” dei concetti e l’antipolitica e non vogliano invece solo chiarezza e coerenza nelle idee?