-di Andrea Rapisarda- Il popolo sovrano ha scelto: il 59,1% dei cittadini italiani ha bocciato pienamente la riforma costituzionale proposta dal governo Renzi e ha difeso il diritto di scelta politica della singola persona in Italia. Una vittoria figlia di un’affluenza record e soprattutto di un’unione d’intenti anomala, che ha visto tante realtà spalleggiarsi per soverchiare il fronte del Premier e dei vari pilastri imprenditoriali italiani: fascisti e partigiani, estrema sinistra e salviniani, grillini e berlusconiani… un’accozzaglia che sicuramente vede un errore alla radice dell’alleanza, ma che è servita a far stravincere le motivazioni del “NO” e a convincere i cittadini della Penisola. Tra documenti politici, slogan populisti e l’insoddisfazione dei cittadini possiamo dire che Matteo Renzi si è scavato la fossa da solo, calcolando che il passo del referendum non era necessario ed è sembrato ai tanti appassionati di politica un modo per ergersi a leader indiscusso sullo scenario nazionale: ha fatto un passo più lungo della gamba vedendo i risultati.
Le dimissioni del Premier erano nell’aria da giorni in caso di sconfitta e stanotte l’essersi tirato indietro è stato visto da tutti come un passo di grande dignità: in pochi nella politica di oggi avrebbero ammesso la propria sconfitta e avrebbero lasciato la poltrona. Matteo invece non ha avuto problemi a tirarsi fuori dai giochi, forte dell’età giovane e probabilmente con una chiave strategica ben precisa già in mente: scendere dal piedistallo presidenziale per prendere una rincorsa e confermarsi nelle fila di un centrosinistra sempre più caotico. Si voglia o meno, Renzi è riuscito a essere un’icona per i giovani moderati di sinistra: volto giovane e ottima presenza in televisione, capace di liquidare Letta via Twitter e mandare in visibilio le giovani generazioni con approcci giovanili agli elettori o al partito… Nella sconfitta ha dimostrato di portarsi da solo sul nazionale – e senza una parte del Partito Democratico – il 40% di un referendum con presenze da record, in un risultato che rende la vittoria meno amara e che gli apre la strada per prendere una rincorsa a una nuova guida del centrosinistra: i vecchi Bersani e D’Alema sono avvisati, da oggi si vedrà in quale direzione virerà il polo dei democratici e post comunisti.
Al polo degli sconfitti si contrappone quello del vittorioso “NO”, che però vive nella totale incertezza di quali forze hanno realmente fatto la differenza per il successo. Nell’anomala alleanza d’intenti emergono Sinistra Italiana e il Movimento 5 Stelle, con questi ultimi che rivendicano i pieni meriti di questa vittoria. Va detto che Di Battista si è girato l’Italia per il “NO”, ma è innegabile come alla loro parte siano mancati documenti politici a riguardo e soprattutto interventi degni di nota: hanno provato a forzare il consiglio comunale capitolino per portare la linea “anti riforma”, attirandosi così le ire dell’opposizione e anche di quei volti paradossalmente alleati… Emergono come secondo partito in Italia, ma il dubbio di reali meriti rimane. E’ certo però che il Movimento 5 Stelle in questa corsa referendaria è maturato: Di Maio ha scostato la realtà grillina dalla sinonimia di antipolitica, perché il popolo li ha incoronati politici e devono percorrere una via politica costruttiva.
Poi c’è il centrodestra, vittorioso ma tra tantissime contraddizioni e confusioni che lo alimentano: Fratelli d’Italia e Salvini chiedono le urne per andare al voto anticipato, Forza Italia si appella a un nuovo governo democratico avendo il PD la maggioranza alle Camere. Ancora si stenta a trovare una linea comune e qualcuno è tentato dal rinfrescare vecchie alleanze come il Nazareno. Il polo deve riavvicinare i propri elettori, quelle 2 000 000 di persone che nel 2006 invadevano Piazza San Giovanni per ascoltare le istanze di un’area: volti delusi da una dirigenza che non ha fatto fede alle promesse fatte con buona pace dei volti come Berlusconi (vero leader trainante di quell’epoca), Fini, Gasparri e Alemanno. Il centrodestra necessità di un leader che illumini la strada da percorrere e tenga unita le fila: i capetti dei vari gruppi devono mettersi in gioco alle primarie di questa realtà, facendo scegliere agli elettori il nuovo volto guida… Salvini, Meloni e perché no Berlusconi si giochino la leadership apertamente: non si può più vivere ancora dei fasti berlusconiani e guardare sempre al passato. Se il Cavaliere vuole essere ancora il volto trainante di quest’area (pure essendone il padre spirituale), riscenda in campo e dimostri nuovamente di poter portare ancora le persone a sceglierlo. Una sfida avvincente che vedrebbe anche Salvini nella gara – in grado ormai di essere omaggiato in qualsiasi città d’Italia dal nord al sud – e Giorgia Meloni, che sta facendo crescere il suo partito giorno dopo giorno.
Il referendum ha aperto un radicale cambiamento all’interno delle forze politiche invece di mettere le mani sulla Costituzione. Ora ci sarà da divertirsi per seguire le vari sviluppi che vedranno protagonisti i vari partiti in gioco dentro il Parlamento!