– a cura di Antonio Pezzopane – Come è giusto che sia all’indomani di una tragedia come quella del terremoto torna ancora una volta alla ribalta l’interrogativo su quanto sia veramente sicuro abitare nelle nostre case. Così, nei talk-show e sui giornali ci si chiede in maniera sempre più pressante quanto sia davvero possibile abitare sicuri nei pittoreschi borghi e nelle scadenti periferie del nostro Paese. La risposta ad una domanda così complessa si sposa malamente con i tempi frenetici dell’informazione ma, volendo rispondere, si può dire che si, siamo in possesso delle conoscenze tecniche per edificare ex-novo e consolidare edifici in grado di resistere a scosse di intensità come quelle registrate ad Amatrice o all’Aquila. Diverso è se ci si interroga sul grado di fattibilità, ovvero la reale possibilità che tali interventi vengano posti in essere, perchè in questo caso pensare di rendere sicuro ogni singolo manufatto in Italia può essere paragonato alla probabilità che si riesca ad evitare per sempre l’influenza ad ogni singolo italiano.
Così come si opera nel contrasto ad un malanno, proteggendo prima i soggetti più a rischio di complicazioni, allo stesso modo si dovrebbe operare per i territori più a rischio con gli edifici più a rischio, tutto ciò ha a che fare con la necessità di definire una scala di priorità che in pratica significa mettere al sicuro qualcuno prima di qualcun altro. Un discorso crudo ma estremamente necessario se, di tutte le variabili in campo che concorrono al concetto di sicurezza, si considerano almeno le tre principali che riguardano: il rischio connaturato alla stessa posizione geografica, la natura del sottosuolo su cui si trovano i fabbricati (potremmo costruire una scatola indistruttibile ma accorgerci di averla poggiata sul sapone) ed i sistemi costruttivi con i quali sono stati realizzati gli edifici (che possono essere i più disparati e variare in poche decine di metri).
Tutto ciò senza considerare l’importanza di contestualizzare i consolidamenti, potremmo infatti essere stati premurosi ed aver eseguito correttamente i lavori avendo però vicino un edificio che crolla come nel caso del campanile di Accumuli. Questi sono solo alcune di una mole di casistiche che andrebbero analizzate una ad una ed è la ragione per la quale invece di proclami poco seri occorrerebbe una maniera organica di affrontare il problema. Proprio l’esigenza di un robusto filo conduttore rende poco efficace l’idea di affidare ad ogni singolo cittadino, corroborato dagli sgravi fiscali, la messa in sicurezza dei propri immobili, occorre invece un serio piano ministeriale in grado di sorreggere il peso economico e morale di un intervento da mettere in atto secondo una precisa scala di priorità. Interventi da pianificare secondo il grado di importanza ed affollamento degli edifici pubblici e non, senza tralasciare l’importanza simbolica ed artistica che hanno alcuni manufatti per intere comunità.
Un intervento di respiro cinquantennale la cui portata avrebbe dei precedenti in Italia solo nei grandi investimenti pubblici del Novecento volti a sconfiggere la carenza di abitazioni, un tempo congruo se si considera il periodo con il quale si ripete questo tipo di calamità. Saranno necessarie costanza e serietà da parte della classe politica e dirigenziale di questo Paese per le quali sarebbe veramente l’ultimo appello, pena il dover osservare le scene tragiche delle ultime settimane ancora troppe volte.