Stragedibologna-2-di Nicola Tancredi- Ogni Nazione ha il suo calendario delle celebrazioni e ricorrenze e quello italiano è ricco di stragi e morti ammazzati. Scorrendo il dito sul quel calendario le pagine trasudano il sangue di uomini valorosi che hanno donato la propria vita per il bene dello Stato, ma anche il sangue di vittime innocenti cadute per ragioni a volte mai chiarite e per il semplice motivo di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato.

E’ il caso della strage alla stazione ferroviaria di Bologna, quando la mattina del 2 agosto del 1980 un’esplosione spazzò via ottantacinque vite. L’Italia intera in quei giorni si fermò davanti alle televisioni per osservare le immagini di un eccidio tra i più gravi e più grandi della storia repubblicana.

Le immagini di quel giorno raccontano uno scenario di guerra, cumuli di macerie sotto le quali restavano esanimi i corpi delle vittime. Uno scenario dove notte e giorno uomini in divisa e cittadini comuni scavarono con la speranza di trovare qualche superstite. Alla fine si contarono più di duecento feriti. Da subito, in una Bologna rossa e partigiana non fu difficile per i giornali trovare la matrice che ai loro occhi appariva chiara e riportava alle frange dell’estrema destra; i Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari).

La Magistratura in quei giorni avviò un’inchiesta tra rivendicazioni e smentite, come quella che quattro giorni dopo la strage arrivò al telefono del quotidiano Il Tempo. Erano gli stessi Nar che declinavano ogni responsabilità sull’accaduto.
La pista nera era sicuramente la più semplice e plausibile da seguire, complice anche il contemporaneo deposito quel giorno a Bologna dell’ordinanza di rinvio a giudizio per gli autori della strage dell’ Italicus del 1974, costata la vita a dodici persone.

Ma nel corso delle indagini, tra insidie e depistaggi ad opera del Sismi, la Magistratura continuò il suo percorso per dare risposta alla domanda di giustizia che l’Italia intera invocava. Seguirono blitz e mandati di cattura contro la destra eversiva. Ebbe così inizio la lunga stagione dei processi; tre gradi di giudizio, quindici processi, vent’anni di udienze, trenta imputati e tre condanne definitive per gli esecutori materiali di quella strage.

Mentre per i depistaggi furono condannati Licio Gelli, Francesco Pazienza e gli ufficiali del Sismi, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte.
Negli anni che seguirono la strage sono state però proposte altre ipotesi di responsabilità. Alcuni hanno proposto di percorrere la pista che collegava Bologna a un’altra tragedia di quella maledetta estate del 1980 e cioè al disastro aereo di Ustica dove morirono ottantuno persone. Altri proposero l’ipotesi straniera. Quest’ultima, torna nel lavoro svolto della Commissione parlamentare “Mitrokhin”, dove si evince che la pista neofascista sia sbagliata e che il movente andrebbe ricercato nel novembre ’79 quando ad Ortona furono arrestati tre esponenti di Autonomia Operaia perché in possesso di due lanciafiamme di fabbricazione sovietica. A loro, una settimana dopo a Bologna si registrò l’arrestato di un’esponente dell’Fplp, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina , il giordano di origini palestinesi Abu Anzeh Saleh. L’arresto e la condanna del giordano avrebbe segnato la rottura di un patto segreto siglato sei anni prima nel 1973, tra l’Olp di

Yasser Arafat e Aldo Moro. Un patto che seguì l’assalto palestinese all’aeroporto di Fiumicino, costato la vita a trentadue persone. La base dell’accordo era il transito di armi e munizioni nei confini nazionali italiani e la non perseguibilità per gli esponenti palestinesi trovati in possesso di armi. In cambio l’Italia si era garantita l’immunità da attentati di matrice mediorientale.

L’ipotesi della vendetta per il patto tradito non ha mai convinto la Magistratura e al momento, l’unica certezza che abbiamo è la sentenza definitiva di condanna come esecutori materiali contro gli esponenti estremisti Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Ma senza mandanti e senza movente questa condanna resta una certezza parziale, una verità che forse non chiude il cerchio sulla strage; mentre la ferita, quella si rimarrà inevitabilmente aperta per sempre.