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– A cura di Alessio Marsili – Dal 1910 alla fine della Seconda Guerra Mondiale parte integrante dell’Impero del Giappone, la penisola di Corea ha subito, al termine del conflitto, una sorte analoga a quella della Germania nazista: partizionamento, lungo la linea del 38°parallelo, in un sud guidato da una governo filo americano con capitale Seoul, ed un nord egemonizzato dai comunisti guidati da Kim Il Sung, nonno dell’attuale leader dispotico, a capo della resistenza anti-giapponese. Dal 1950 al 1953, un violento conflitto – passato alla storia come “The Forgotten War” – fra comunisti e nazionalisti appoggiati da una coalizione ONU a guida statunitense scosse l’intera penisola coreana, terminato con l’armistizio di Panmunjom: un trattato di Pace non è stato ancora firmato e le due Coree sono formalmente in guerra.

Padre della nazione e Presidente Eterno, Kim il Sung è rimasto ininterrottamente al potere fino al 1994, quando conseguentemente alla sua morte gli succedette il figlio, Kim Jong Il; nel corso della guerra fredda la Corea del Nord poté godere dell’incondizionato supporto di Mosca che vedeva in Pyongyang un fedele alleato, favorendo ottimi ritmi di crescita annuali – talvolta superiori anche a quelli di Seoul. Terminata la Guerra Fredda, proprio durante il regime di Kim Jong Il, la Corea del Nord iniziò a sperimentare carestie, estrema povertà e fame. Data l’obsolescenza delle armi convenzionali, il “Caro Leader” decise di perseguire risolutamente il programma nucleare per implementare un efficace arsenale strumentale alla sopravvivenza di un’indipendente Corea del Nord.

Al potere dal 2011, Kim Jong Un si rese immediatamente conto dell’importanza dell’arma atomica e non arrestò mai ricerche e test, che si sono susseguiti periodicamente. ”Cominciamo il 2016 con il suono emozionante della prima bomba all’idrogeno, in modo che il mondo intero possa ammirare la nostra Repubblica socialista dotata di armi nucleari”. L’anno nuovo si era aperto con il quarto test nucleare condotto da Pyongyang; l’ordigno sarebbe stato fatto esplodere il 6 gennaio provocando un terremoto di 5.1 di magnitudo. Circa un mese dopo, la Corea del Nord ha lanciato in orbita l satellite “Kwangmyongsong-4”, nell’evidente tentativo di sviluppare un vettore a lungo raggio in grado di colpire direttamente il suolo degli Stati Uniti. Pronta la risposta della comunità internazionale che ha universalmente condannato le “violazioni” di Pyongyang, mostrandosi scettica sulla tecnologia nordcoreana: si ritiene, infatti, che la Corea del Nord non possegga le capacità tali per gestire la fabbricazione di bombe termonucleari. Provocazione o realtà, Pyongyang è già entrata nel ristretto club delle potenze atomiche ed il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha, all’unanimità, inasprito le sanzioni economiche e militari già imposte ai nordcoreani dopo il primo test nucleare del 2006; perfino la Cina, unico alleato della regione nell’area ha espresso il proprio dispiacere. Per il Partito Comunista Cinese, infatti, in caso di crisi ed instabilità nella penisola di Corea, la possibilità di poter disporre dell’atomica da parte di Pyongyang potrebbe costituire una seria minaccia alla sicurezza dell’intera regione: nella remota eventualità della fine del regime, un numero inimmaginabile di profughi si riverserebbe alle frontiere con la Cina e Pechino sarebbe costretta a fronteggiare una crisi umanitaria dalla portata spaventosa.

Eppure, nonostante le sanzioni e volenterosi di alimentare il sentimento anti-USA della popolazione, il comparto militare nordcoreano continua imperterrito nelle provocazioni: lancio di missili, test, miniaturizzazione delle bombe atomiche (da verificare all’atto pratico) e sviluppo di motori per missili balistici intercontinentali. Nonostante esperti ed analisti ritengano che l’escalation di minacce contro l’occidente sia finalizzata alla mera celebrazione del supremo leader Kim Jong Un, il regime dittatoriale comunista ritiene impossibile prescindere dagli armamenti nucleari per disporre di indipendenza, imprevedibilità e libertà di manovra. Una libertà di manovra più fittizia che reale perché così facendo Pyongyang rischia di perdere definitivamente l’appoggio di Pechino, unico alleato della regione; per la Cina, fratello maggiore del regime, la parte Nord della penisola coreana ha sempre rappresentato un’opportunità per incrementare abilità politiche e diplomatiche. Nonostante le proteste della comunità internazionale, sviluppare un potente strumento di deterrenza è, per la Corea del Nord, una misura difensiva. L’attuale presidente, infatti, non inizierà mai una guerra nucleare contro gli Stati Uniti perché è consapevole di non poter vincere un confronto di tale genere: la tecnologia nordcoreana permette di sviluppare solo poche bombe all’anno, ma il timore di una rappresaglia – seppur circoscritta – sul proprio territorio spinge Washington a comportarsi in maniera molto prudente. L’esistenza del regime di Pyongyang, inoltre, giustifica la permanenza della Settima Flotta statunitense – presente anche una portaerei nucleare – formalmente a protezione degli alleati Giappone e Corea del Sud, ma atta a supervisionare la situazione nel Mar Cinese Meridionale.

Vivere all’ombra dei missili atomici americani per oltre settant’anni ha alimentato gli appetiti nordcoreani per il nucleare; risulta davvero difficile credere che un regime autarchico e giuridicamente rigido possa sopravvivere così tanti anni senza essere sostenuto dall’esterno. Probabilmente il 38°parallelo resterà ancora a lungo l’ultimo muro della Guerra Fredda, ma per quanto lo si voglia negare, la politica nucleare di Pyongyang appare follemente razionale