convegno fondazione italia usa centro-destra.it– A cura di Luca Proietti Scorsoni – Fiducia, guerra ibrida, strategia del terrore, globalizzazione. Queste appena enunciate possono essere considerate a ragione come le parole chiave fuoriuscite dal seminario di ieri: “” che la Fondazione Italia – USA e Diplomacy – Festival della Diplomazia hanno organizzato congiuntamente all’interno della splendida Sala Aldo Moro di Palazzo Montecitorio. Una serie di termini decisivi – gli inglesi le definirebbero come delle keywords – per andare ad indicizzare la cornice dialogica entro la quale si è dipanato il ragionamento portante dell’intero dibattito. Un incontro dall’elevato spessore culturale e, se mi è consentito, perfino pedagogico che ha visto come protagonisti alcune tra le figure più in vista del panorama accademico e politico presenti in Italia e non solo. Difatti, coordinati dalla sapiente regia della moderatrice, l’Onorevole Catia Polidori, qui in veste di direttrice esecutivo della fondazione, sono intervenuti Luciano Bozzo (docente di relazioni internazionali, Università di Firenze), Vincenzo Camporini (comitato scientifico Festival della Diplomazia e vicepresidente IAI), Stefano Dambruoso (magistrato e questore Camera dei Deputati), Marco Lombardi (docente gestione del rischio e “crisis management”, Università Cattolica Sacro Cuore), Andrea Manciulli (deputato, presidente Assemblea Parlamentare presso la NATO) e Carlo Pelanda (docente di affari internazionali, University of Georgia). Nell’arco di circa tre lustri l’evoluzione del fenomeno terrorista è stato evidente: si è passati da un’organizzazione semi clandestina, qual era Al Qaeda, fino al Daesh che si prefigura in tutto e per tutto come una vera realtà statuale, contraddistinta da un’organizzazione, su di un piano propriamente istituzionale, capillare e assai articolata. A fronte di tali mutazioni del nemico l’Europa e, più in generale, l’Occidente deve calibrare costantemente il loro approccio difensivo sia in termini prettamente militari che in ambito diplomatico, economico e finanziario. Una sfida complessa ma ineludibile, all’interno della quale i governi devono saper cooperare in maniera efficace tra di loro e dove vi è l’impellenza di una sempre maggiore interazione tra le varie intelligence. Del resto viviamo tutti in un sistema globale per cui i singoli mercati sono divenuti un “unicum” tanto che ogni singolo tassello del mosaico aderisce all’altro tramite il mastice della fiducia. Si pensi, a tal proposito, ed espressioni ormai consuete presenti del nostro quotidiano, quali: moneta fiduciaria, società fiduciaria, patto fiduciario e così via. Ebbene, a fronte di ciò, la pericolosità derivante dal terrorismo non può essere declinata esclusivamente sul piano delle perdite di vite umane, ma deve includere perfino il rischio di pericolose derive autarchiche che andrebbero ad inficiare sia sul nostro benessere attuale che su una prospettiva di accrescimento delle prosperità per le generazioni future. Ergo, l’attacco al terrore deve essere lanciato lungo tre direzioni (da qui il concetto di “ibrido”): quella militare per annientare il rischio di una deflagrazione bellica, quella mediatico-comunicativa per dar vita ad una narrazione differente rispetto a quella islamico-fondamentalista ed infine quella diplomatica per non incorrere nel gravissimo errore di far apparire il conflitto in atto come un duello che vede l’America e l’Europa da un lato e l’intero mondo mussulmano dall’altro. Insomma, una guerra come si direbbe oggi, 2.0 da portare avanti su più scenari. Un’impresa ancor più ardua se consideriamo gli sforzi che dovremo compiere per far assimilare il concetto di “scontro” alle nostre democrazie ormai pienamente debellicizzate. Anche perché, un fallimento in tal senso, potrebbe essere davvero esiziale per le libertà del domani.