– di Filippo Del Monte – Dal sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi sono arrivate parole di fuoco sull’attuale assetto politico europeo: “L’asse franco-tedesco è necessario ma non più sufficiente” o ancora “l’Italia è l’unica a porre temi di prospettiva per una riforma più ampia dell’UE”. Niente in contrario con le esternazioni del sottosegretario, però viene da pensare che siano dichiarazioni legate più all’attuale “braccio di ferro” tra Renzi e Bruxelles – con Roma in posizione piuttosto precaria – che non ad una visione nuova dell’Unione Europea.
Lo scontro di qualche giorno fa tra Renzi e Juncker ha messo in luce una situazione piena di incognite non solo per la credibilità italiana in Europa ma anche per il peso specifico che Roma ha nella politica comunitaria. A sferrare la “pugnalata alle spalle” a Renzi è stato il francese Pierre Moscovici, commissario europeo per l’Economia, eletto grazie alla convergenza dei voti del italiano e francese. Moscovici – così come la Mogherini – era una delle figure garanti dell’accordo tra Renzi ed Hollande per tenere a freno le mire egemoniche della Germania. Le nomine della Mogherini alla PESC e di Moscovici alla Politica economica erano funzionali all’inaugurazione di due processi riformatori che erano parte integrante dei programmi delle socialdemocrazie mediterranee in Europa. Una Politica estera comune più attenta alle questioni mediterranee e la fine – o l’ammorbidimento – dell’ austerity. Queste erano le due grandi sfide che l’Italia e la Francia si accingevano ad affrontare contro i blocchi polacco-baltico e scandinavo, entrambi orbitanti attorno alla Germania di Angela Merkel.
Quella che sembrava un’alleanza solida si è sfaldata alla prima difficoltà (la crisi ucraina) e le due “sorelle latine” sono tornate a diffidare l’una dell’altra. Se è vero che la Francia ha preferito “tornare a Canossa” uniformandosi alla condotta diplomatica anti-russa di Berlino, nessuno potrà negare che il governo italiano nulla ha fatto per impedirlo. Ogni volta che l’asse franco-tedesco torna a funzionare Roma puntualmente alza i toni in Europa. Questo perché la tendenza “revisionista” propria della nostra diplomazia non è mai venuta meno. Ad un avvicinamento di Parigi e Berlino corrisponde un relativo isolamento di Roma che è costretta a fare la voce grossa per aprirsi degli spazi che però, nella maggior parte dei casi, restano chiusi. Questo perché la spina dorsale dell’Unione Europea è proprio la collaborazione franco-tedesca ed un equilibrio del genere non può essere messo in discussione salvo ridiscutere l’impianto stesso dell’Europa.
Se con la Germania non è possibile stabilire rapporti paritari, un tentativo del genere può essere fatto con la Francia ma a garanzia di essere una reale alternativa alla special relationship con Berlino. Una collaborazione più stretta con l’Italia sarebbe notevolmente più vantaggiosa per i francesi e questo probabilmente anche a Parigi lo sanno bene; il problema però è un altro: Roma è un’alleata inaffidabile. Al momento dell’accordo tra Hollande e Renzi sulle nomine in Commissione, il nostro Paese rappresentava il contraltare della Germania: Roma era filo-russa come Parigi e Berlino più attenta alle richieste polacco-baltiche, Roma era favorevole ad un ammorbidimento dell’austerità come Parigi mentre a Berlino erano i paladini del rigore, Roma credeva nell’allargamento al Mediterraneo della PESC come Parigi e Berlino invece voleva che la Politica di sicurezza comune avesse come baricentro l’Europa centro-orientale. Eppure la Francia si è riavvicinata alla Germania perché l’Italia si è gradualmente “rimangiata” il suo programma revisionista.
Ovvio che, a parità di condizioni, a Parigi hanno scelto la via di Berlino perché quella di Roma presentava troppe incognite che nessuna Potenza potrebbe permettersi di affrontare. L’isolamento dell’Italia in Europa è dovuto proprio a questi tentativi di ergersi a “pionieri” di processi che poi non vengono portati a compimento. Ma la mancanza di forza non è dovuta tanto alle nostre deficienze strutturali, quanto all’incapacità di tessere alleanze. Questo fattore è stato evidenziato anche da Paolo Mieli martedì sera a “Ballarò” mentre si parlava del burrascoso rapporto tra Renzi e Juncker.
Tornando alle parole di Gozi, esse mettono in luce l’ennesimo tentativo dell’Italia di “farsi sentire” dopo aver tagliato – con una certa immaturità diplomatica non nuova nella condotta renziana – i ponti con Parigi. Forse è vero che l’asse franco-tedesco non è più sufficiente nell’attuale Europa “allargata”, ma è anche vero che non si può pensare ad una reale riforma degli ingranaggi comunitari senza scardinarlo. Dunque viene da dire, contraddicendo Gozi, che l’asse franco-tedesco non è più necessario all’Europa, anzi, forse è una di quelle escrescenze che andranno prima o poi asportate dal corpo dell’Unione se veramente si hanno progetti futuri di una fattiva unità politica. Se si vuole democratizzare l’UE bisognerà depotenziare la Germania e l’unico modo per farlo è legarsi alla Francia; obiettivo raggiungibile solo attuando una politica coerente e senza doppiogiochismi. In altre parole, Roma dovrebbe rappresentare un’alternativa credibile a Berlino; dove credibile significa comportarsi realmente da terza Potenza continentale e non da bambini capricciosi come invece si fa adesso.