– di Filippo Del Monte – Nel 1963 a Roma il reduce della RSI ed ex esponente dei Fasci d’Azione Rivoluzionaria Luciano Lucci Chiarissi fondò la rivista “L’Orologio”. All’inizio dei tumultuosi anni ’60 il MSI aveva superato la pesante contraddizione sulla sua “identità” politica con una svolta a destra. Il fallimento dell’inserimento nel sistema dopo i fatti di Genova del 1960 aveva assestato un duro colpo ai micheliniani ma l’idea del “doppiopettismo” non era tramontata. Con una vita interna “congelata” dalla necessità di essere una forza di destra classica, la pubblicazione de “L’Orologio” arrivò nel Movimento Sociale come una boccata d’aria fresca.

La rivista di Lucci Chiarissi è conosciuta soprattutto per aver supportato la contestazione del ’68 divenendo la cassa di risonanza del progetto politico – o candidamente “impolitico” – della corrente nazional-rivoluzionaria del Fronte della Gioventù. L’interesse per le tematiche giovanili e del ricambio generazionale della stagione sessantottina oscurarono lo scopo originario per il quale Lucci Chiarissi aveva fondato “L’Orologio”: discutere senza censure sul concetto di Nazione e sul suo futuro nell’Italia della Guerra fredda. Nella sua riflessione l’ex esponente dei FAR dedusse che la Nazione “erede della tradizione risorgimentale” era stata sconfitta l’8 settembre 1943 e che, tendenzialmente, era inutile tentare di “resuscitarla” con il patriottismo demagogico del MSI. Quanto era scritto nelle pagine della rivista era clamoroso, però bisogna comprendere che partiva da una precedente concezione che vedeva nella destra neofascista nulla più che la “vestale del nostalgismo”. La destra della “riserva indiana”, priva di funzioni politiche vere e proprie, era inutile allo sviluppo del Paese.

Da qui al ragionamento sull’Europa-Nazione il passo era breve. Secondo Lucci Chiarissi, se il Vecchio Continente si era trasformato in “terra di conquista” per le Superpotenze, era perché gli europei erano stati incapaci di dare vita ad un “terzo blocco”, ostile tanto all’URSS quanto agli USA. Un’Europa imbrigliata nel sistema atlantico sarebbe stata incapace di esprimere la sua potenza e far sentire la sua voce nel mondo. Sotto la spinta di tale ragionamento il gruppo de “L’Orologio” sostenne i movimenti di liberazione del Terzo mondo e, particolare da non sottovalutare nel mondo della destra, i comunisti vietnamiti nella guerra contro gli Stati Uniti. Tutto sommato la posizione terzomondista assunta dalla rivista potrebbe assomigliare a quella dei movimenti pacifisti attivi in quegli anni; eppure le due strade si dividono quando dalle pagine de “L’Orologio” emerge la necessità dell’Europa “armata” e la protesta contro il Trattato di non proliferazione che impediva, a detta di Lucci Chiarissi e dei suoi collaboratori, agli europei di dotarsi di armi atomiche.

Un progetto del genere era irrealizzabile se le strutture unitarie fossero rimaste quelle oligarchiche della CEE e se la sicurezza fosse stata appannaggio esclusivo dell’ombrello atlantico. L’ascesa di De Gaulle con la sua “Europa delle patrie” ed il braccio di ferro con la NATO fecero credere a “L’Orologio” di aver trovato il proprio “paladino”. Tuttavia l’appoggio al generale-presidente francese non fu assoluto né privo di critiche in quanto Lucci Chiarissi, spingendosi veramente “oltre” per i parametri di quella destra, proponeva di istituire una moneta unica per l’Europa. La novità de “L’Orologio” è proprio questa,  aver suggerito un europeismo diverso da quello di marca liberale o progressista; dove la moneta unica fosse uno strumento per unire i popoli del Vecchio continente e non per costruire un mercato unico uccisore, più che difensore, delle specifiche identità europee. All’epoca Lucci Chiarissi fu accusato di “sinistrismo” e ricevette critiche feroci da parte della corrente “moderata” del Movimento Sociale, eppure non si può negare che ci avesse visto lungo. Anticipava di parecchi anni le critiche attuali all’Europa oligarchica, ipercapitalista e pacifista, unita solo di nome ma non di fatto.

La destra attuale avrebbe molto da imparare dall’esperienza de “L’Orologio”. I collaboratori della rivista analizzavano puntualmente e scrupolosamente i fatti di cui parlavano, evitando sempre gli slogan facili o di parlare ad una “pancia del popolo” irrazionale e foriera di facili sconfitte future. Detta così potrebbe sembrare che Lucci Chiarissi ed il suo gruppo fossero contrari a qualunque incontro con il popolo. Invece la loro grande forza stava proprio nell’essere “populisti” – nel senso migliore del termine ovviamente, che non si usa per indicare un “Salvini” qualsiasi – e nel considerare il popolo come la forza rivoluzionaria in grado di cambiare il destino dell’Europa, di liberarla da quelle catene a cui lo scontro bipolare l’aveva legata. Per concludere, Lucci Chiarissi immaginò un’Europa imperiale ma non imperialista, un’Europa dei popoli e non degli oligarchi, ma soprattutto un’Europa unita sotto la bandiera delle idee e non sotto lo straccio maleodorante dell’ipercapitalismo ingordo ed egoistico. Nonostante non sia uno dei “grandi” del pensiero della destra italiana, Lucci Chiarissi merita comunque di essere analizzato e compreso anche oggi perché le tematiche europee sono per l’Italia odierna “pane quotidiano” e sarebbe necessario, specie a destra, capire dove si è sbagliato e da dove ripartire nel nome di un europeismo “diverso”.