– di Filippo Del Monte – E’ della metà degli anni ’80 una delle intuizioni più geniali del panorama politico italiano: il socialismo tricolore. Negli ambienti culturali più avanzati del Partito Socialista Italiano, sotto la spinta della segreteria di Bettino Craxi, emerse un rinnovato interesse per il processo risorgimentale. L’opera di sganciamento dal marxismo che Craxi stava portando avanti – con i puntelli del lavoro “autonomista” svolto precedentemente da Nenni – aveva spinto gli intellettuali socialisti legati alla “destra” del PSI a cercare nuovi riferimenti ideali che non fossero legati al “socialismo scientifico”. Al contrario della tedesca SPD che aveva scelto di “guardare avanti” cercando riferimenti totalmente nuovi, il PSI volse il suo sguardo indietro, verso il socialismo risorgimentale di Pisacane, Garibaldi e, sotto certi aspetti, Mazzini.
Inserire nel proprio “pantheon” Pisacane e Mazzini significava scacciare in malomodo non solo Marx ma anche i concetti classisti e di scontro tra proletariato e borghesia; significava trovare una nuova sintesi nei rapporti di produzione che non fosse quella teorizzata dai marxisti “storici”. Una presa di posizione del genere implicava anche la rivalutazione del ruolo italiano nel mondo e dunque uno spostamento della barra politico-diplomatica dall’atlantismo al “terzaforzismo” mediterraneo. Una Politica estera più attiva, iniziata durante la crisi dei Banchi di Medina e proseguita a fasi alterne fino all’episodio emblematico di Sigonella, fu il fattore che fece scattare la molla del “consenso” (parola da prendere con le pinze ma che esprime una sensazione diffusa) missino alla linea del segretario socialista.
Dopo anni di sussulti e di collocazione politico-ideologica non definita, il MSI era a tutti gli effetti una forza di destra e la sua corrente di “sinistra” ridotta allo stato vegetativo dopo la sconfitta del Partito Nazionale del Lavoro di Massi negli anni ’50. La trasformazione “risorgimentale” del PSI consentì però ad alcuni intellettuali di punta della galassia missina, su tutti Giano Accame e Beppe Niccolai, di costruire una precisa teoria che prenderà poi il nome di “Socialismo tricolore”. Accame e Niccolai provenivano entrambi dalla “sinistra missina”, il primo aveva però una matrice cattolica mentre il secondo era integralmente socialista. Giano Accame – constatando che la svolta a destra operata da Almirante con la Destra nazionale non aveva comunque consentito al MSI di ottenere pari dignità nell’arco costituzionale – vide nell’appoggio alla svolta craxiana (proprio mentre il sostegno della DC e dei partiti laici ai socialisti vacillava) la possibilità di un definitivo sdoganamento del partito neofascista. Nonostante fosse un intellettuale di nicchia, Giano Accame sapeva interpretare le sensazioni della base del partito e capì, prima di tanti altri, che né il conservatorismo micheliniano né il “doppio binario” rivoluzione-conservazione almirantiano potevano garantire un futuro al MSI. Chiaramente questo non deve indurre a credere che tutta la base fosse favorevole ad un’accettazione totale del socialismo craxiano, anzi, in molti militanti e quadri sussisteva una certa diffidenza a sganciarsi, più o meno traumaticamente, da quel “porto sicuro” che era la Destra nazionale.
Eppure Bettino Craxi rappresentava esteriormente tutto quello che nel mondo missino si era sempre ammirato e ricercato: il capo carismatico, una politica realmente sociale verso le fasce deboli della popolazione ed una Politica estera capace di garantire all’Italia quella posizione di media Potenza regionale che le spettava (e per i “sognatori” questo non era che l’inizio di un ritorno in grande stile sulla scena mondiale). Se in tutto questo Accame intravide la possibilità di “uscire dalla secca”, per Niccolai si trattò di poter finalmente fare i conti con la matrice socialista del fascismo così da dare una prospettiva storica ed ideologica alla bistrattata “sinistra nazionale”. Abbracciare il “socialismo tricolore” non significava solo mondare il fascismo originario da tutte le sovrastrutture ideologiche dei “fiancheggiatori” borghesi, ma anche andare oltre la “riserva indiana” del Movimento Sociale per attuare la conciliazione nazionale. E’ da questi ragionamenti che viene fuori la necessità di “superare la scissione del 1914” tra socialisti “ortodossi” e socialisti “mussoliniani”.
Chiusa la parentesi craxiana, anche il “socialismo tricolore” finì nel dimenticatoio. Si preferì sia a sinistra che a destra gettare l’acqua sporca con tutto il bambino pur di non affrontare una tematica scomoda. E’ innegabile che il rafforzamento – invero più culturale che politico in senso stretto – della “sinistra nazionale” missina era legato al particolare periodo storico del craxismo come forza di governo e di rinnovamento a sinistra. Però è giusto fare una riflessione in proposito. Nonostante l’ipotesi di Niccolai fosse eretica e totalmente in controtendenza rispetto al gruppo dirigente di allora, riscopriva la necessità di avere un dibattito interno serrato anche sulle questioni ideologiche, di non fare leva solo ed esclusivamente sugli slogan o su un nostalgismo esasperato (traviato nel corso degli anni e privo di contenuti).
Cosa si può recuperare oggi dall’impianto proto-ideologico del “socialismo tricolore” è presto detto: la necessità di avere una maggiore attenzione alle tematiche sociali; l’elaborazione di una Politica estera capace di difendere gli interessi nazionali italiani ma anche di guardare al futuro dell’Europa senza rinchiudersi nel proprio orticello; il ritorno delle ideologie e del dibattito ad esse connesse nell’opera politica quotidiana. Una sinistra totalmente priva di identità (come è il PD renziano) o ridotta a percentuali irrisorie non può assumersi questo compito. Pertanto alla Destra spetta questo arduo compito. Per fare ciò la capacità di mettersi in discussione è essenziale. Ragionare sulle proprie intuizioni – e su quelle degli altri – e sui propri errori, forse soprattutto su questi ultimi, può essere un valido strumento per la costruzione della propria identità. Comprendere, storicizzare, rivitalizzare dei concetti sono operazioni che non si fanno a cuor leggero, che richiedono una riflessione e che sono scevri dalle ultime considerazioni sui fatti del giorno o da utilizzi esclusivi a fini elettorali. Che si torni a fare politica, a ragionare di politica e anche a “produrre pensiero politico” abbandonando i troppo facili schemi dell’era post-ideologica e post-partitica.