– di Antonio Pezzopane – E’ un Consiglio dei Ministri straordinario, riunitosi di domenica pomeriggio, a salvare in fretta e furia le quattro banche sull’orlo del fallimento già commissariate da Bankitalia: Banca Etruria, Banca Marche, Cari Ferrara e CariChieti. Vi chiederete come sia possibile “affannarsi all’ultimo momento” per una questione così delicata, la risposta asciugata di eccessive tecnicalità è di grande interesse per tutti: da oggi dovremmo prestare bene attenzione a quale Banca si affidano i propri risparmi. Il mondo del sistema bancario ci appare spesso indecifrabile, distante anni luce con quelle decine di miliardi dai nostri portafogli, non ci aiutano nemmeno i media che in questa occasione commentano come non troppo inaspettato il decreto di domenica. E’ vero, la soluzione del governo era nell’aria, ma il vero spartiacque è che questo è stato l’ultimo “salvataggio soft”, dal 1 Gennaio del prossimo anno entrerà in vigore la norma europea del Bail in per la quale il peso delle crisi bancarie graverà anche sulle spalle dei semplici correntisti. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla trattativa che da inizio 2015 Bankitalia ha intavolato con Bruxelles per l’individuazione di una via per il salvataggio che evitasse un aiuto di Stato, per il quale l’Italia sarebbe incappata in una procedura per infrazione (procedura per la verità già aperta contro il nostro Paese per il salvataggio di un’altra banca in difficoltà, la teramese Terca). Proprio gli aiuti di Stato hanno scatenato polemiche in questi anni di crisi tra Roma e Bruxelles che faceva notare come i nostri istituti ne avessero bisogno, al contrario in Italia si è preferito procedere con delle ricapitalizzazioni (erano gli azionisti a mettere a disposizione nuove risorse), scelta che i maligni vogliono tesa a tenere distanti indiscreti occhi europei dai bilanci delle nostre banche. Negli ultimi mesi al contrario Bankitalia ed ABI avevano spinto per questo tipo di soluzione, cercando di camuffarla come nel caso di Terca, facendo leva su quella “manica larga” che l’Europa aveva dimostrato con analoghe vicende tedesche. L’azione italiana è arrivata però con un deciso difetto di tempismo, pare infatti che a Bruxelles fossero quantomeno sorpresi per la nostra non curanza nei confronti delle sopraggiunte direttive in materia di salvataggio degli istituti di credito e dell’imminente entrata in vigore del Bail in. Fermata bruscamente questa strategia dal muro BCE-Commissione il governo e, ciò che più sorprende, Bankitalia si sono visti costretti ad una brutta marcia indietro che ha portato Palazzo Chigi in questa settimana a dover recepire in tutta fretta le direttive europee prima citate e a procedere ad un salvataggio basato su quello schema. Lo schema appunto è quello della bad bank che si accollerà le sofferenze (crediti difficilmente esigibili) che provvederà a piazzare sul mercato al miglior prezzo possibile (il loro valore da 8,5 mld è già stato ridimensionato a 1,5 dalle stime); per capire il meccanismo immaginiamo di aver prestato 100euro per riceverne indietro 110, constatata la difficoltà di essere ripagati si sceglie di vendere questo credito per 20euro (limitando quindi le perdite) a qualcuno che si assume il rischio di un credito difficilmente esigibile in cambio della possibilità di un forte utile. La bad bank libera quindi da queste incombenze le quattro nuove banche fondate per decreto (Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche, etc) che hanno iniziato da subito ad operare per garantire la continuità dei loro servizi, gli istituti sono ora tutti sotto il controllo di Bankitalia che le amministrerà con quattro direttori e sotto la guida di un unico presidente, fino alla loro vendita all’asta. Chi paga tutto questo? A rimetterci sono stati senz’altro gli azionisti, che hanno visto fortemente decurtato il capitale investito, i tre maggiori gruppi bancari italiani Intesa, Unicredit ed Ubi, ultimi ma immancabili i contribuenti italiani. Per finanziare questo meccanismo è stato istituito il Fondo di Risoluzione che dovranno finanziare i 208 istituti del Paese, nell’immediato però la liquidità è stata anticipata proprio da Intesa, Unicredit ed Ubi che però beneficeranno di sgravi fiscali per un 1mld di euro a fronte dei 3,6 impiegati. Nonostante questa trattativa “discutibile” si è evitato per il rotto della cuffia il Bail in per il quale dal 1 Gennaio alle perdite parteciperanno anche gli obbligazionisti ordinari ed i correntisi per i loro depositi eccedenti i 100mila euro. Dovranno essere consapevoli i risparmiatori della banca a cui intendono affidare non solo i propri investimenti ma anche semplici conti correnti.