-di Marco La Boccetta- Il boato della risata dei potenti del mondo, il 16 giugno 2015, giorno in cui Donald J. Trump annunciò la sua candidatura alle presidenziali del 2016, fece vibrare i sismografi per quanto fu forte; ed oggi, a qualche giorno dalla sua vittoria elettorale? Il fiume di lacrime degli illusi cresce incessantemente.
Ancora una volta, difatti, la realtà insegna che le partite si vincono al novantesimo e che, innanzi alla volontà popolare, nessuno può nulla.
Messa da parte l’euforia politica, è tuttavia evidente che il risultato storico delle presidenziali americane offre non pochi punti di analisi da affrontare in modo graduale.
Appare chiaro un primo rilevante aspetto: la morale sul genere non porta i frutti sperati e per quanto la figura del possibile primo Presidente donna nella storia degli Usa – caposaldo di questa campagna elettorale – sia stata acclamata, non toccherà ad Hillary Clinton tingere di rosa la Casa Bianca. E ciò dovrebbe far riflettere notevolmente; anche e sopratutto l’opinione pubblica Italiana. Questo sembra essere il tempo, tra le altre cose, delle precisazioni sul genere, anche dei termini; come se il prestigio di un incarico o di una posizione sociale dipendesse dall’essere chiamati Presidente o Presidentessa od ancor più dall’essere o non essere, come nel caso americano, donna.
Vince chi vale, non chi è uomo in quanto uomo o donna in quanto donna. E neppure le presunte testimonianze di modi di fare molesti e misogini di Trump hanno condizionato la valutazione dei candidati i quali non hanno subito rafforzamenti o indebolimenti riconducibili ad un “fattore genere” determinante ai fini dell’elezione.
E’ inconfutabile, ancora, che causa determinate per la sconfitta della paladina delle donne (comunque in ottimi rapporti con i sauditi che, alle donne, tagliano mani e testa in pubblico) è stata la totale perdita di contatto con la realtà. Questa volta si è assistiti ad una totale analisi della realtà sociale americana esistente, probabilmente, solo nell’immaginazione della Clinton. L’azione di Obama che la stessa, rivolgendosi agli americani, aveva promesso sarebbe continuata ha convinto i cittadini, che dell’azione del Presidente uscente sono stati destinatari, a preferire l’alternativa; forse perché anche lo stesso Obama governava un’America esistente soltanto nel suo immaginario.
Non sono valsi a nulla neppure gli incoraggiamenti dai Paesi esteri (anzi, pare che gli americani non gradiscano affatto gli impiccioni), la totalità dei mass media schierati a suo favore, il sostegno delle stars idolatrate dagli adolescenti, i potenti di Wall Street; all’americano medio, spina dorsale degli States, Hillary Clinton non è andata giù. Mai.
D’altronde, l’encomio ad Hillary Clinton senza possibilità di smentita non è cosa facile negli Usa.
La famiglia Clinton di scheletri nell’armadio ne ha fin troppi, in misura certamente maggiore ad un camposanto. Dal sex gate del buon Bill (che comunque ancora tira, elettoralmente, sia chiaro) ai finanziamenti a favore della Clinton Foundation provenienti da Paesi esteri dalla dubbia posizione in relazione al rispetto dei diritti fondamentali, in modo particolare dei diritti delle donne. I Clinton, a parere di molti, sono l’emblema del parassitismo e delle logiche di palazzo a scapito del cittadino comune. Da trent’anni “a carico dei cittadini”, costoro, hanno ricevuto una batosta che non si può leggere se non come un biglietto di sola andata al di fuori della scena pubblica.
La rilevanza delle vicende elettorali americane comporta chiaramente risvolti di diversa natura in ogni angolo del globo.
In Italia, particolarmente, due certezze riecheggiano in modo ancor più deciso: L’impennata della vendita di tranquillanti per le truppe pennivendole del Bel Paese che speravano in una vittoria della Clinton e l’ormai tradizione di questi ultimi di capovolgere la realtà riportando fatti irreali, e, in caso di smentita del loro dire come in questo caso, l’atteggiamento volto a sminuire addirittura la pronuncia democratica di milioni di cittadini. Della serie: il suffragio universale va bene solo se vince chi piace a noi.
Tuttavia, nel tentativo di concludere un’analisi che meriterebbe molte più battute, si può chiaramente sottolineare come, e già lo si è detto in principio, il volere di un popolo che rappresenta un esempio storico e fulgido di democrazia moderna, non può essere leso da nulla e da nessuno. Donald J. Trump, con una vittoria chiara e consistente si presenta al mondo nelle vesti di quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America mostrando, sin dal primo intervento di ringraziamento, un profilo istituzionale fino ad ora tenuto nascosto forse per riuscire a rimanere a galla mentre tutti lo attaccavano durante la campagna elettorale, anche per aspetti relativi alla sua vita privata. Sarà in grado, il magnate, di guidare la prima potenza mondiale nei quattro anni di presidenza? Lo si scoprirà negli anni che seguiranno ma ciò che è certo è che nessuno cittadino vivrà un quadriennio di paura segnato da destabilizzazioni, tentativi di guerra con la Russia, “esportazioni di democrazia” per mezzo di F35 e carri armati di – ed ormai è solo un ricordo del passato – “obamiana” memoria.