-di Luca Proietti Scorsoni- Un discorso normale, tanto da rasentare a tratti l’ovvio, per un uditorio che in teoria dovrebbe essere uso nel pasteggiare nettare liberale. Dico di più: un intervento perfino coerente col pragmatismo tipico del liberalismo di maniera, visto che è stato condito spargendo sapientemente ampie dosi di buon senso. Perché se si vuole inseguire, e magari realizzare, un sogno, come fu quello ispiratore della mancata rivoluzione del ’94, non è possibile farlo senza la contezza di se stessi e dei propri limiti. Dal che diviene conseguente la necessità di aprirsi a contaminazioni esterne, di accogliere i contributi teoretici e non di pensatori e amanti della Destra vogliosi di far emergere il loro sentimento fin qui clandestino. In altri termini: desiderosi di formalizzare il rapporto con la forma partitica di riferimento del loro mondo culturale e politico. Di fatto è questo il senso profondo del contributo che Parisi ha fornito in quel di Fiuggi. Ovviamente alla sostanza si è allineata anche una certa prassi legata alla forma, condensata in alcuni frammenti semantici: per intenderci quel “liberal-popolare” come nuovo marchio di fabbrica del moderatismo – guai a pronunciare l’espressione – forzista è stato snocciolato fino all’inverosimile. Liberale, poiché la dottrina di Einaudi dovrà tornare ad essere l’alfa e l’omega di riferimento ogni qualvolta il movimento modellerà una qualche progettualità per il domani; popolare, perché non possiamo più permetterci di relegare il liberalismo su piani elitari ma dovremo riversarlo sui molteplici pertugi sociali caratterizzanti l’ossatura del nostro Paese. Altro aspetto interessante è quello legato all’organizzazione del partito. Ora, se è vero che ci troviamo in un’epoca in cui vige la dittatura della verticalizzazione della politica – da tradursi in un filo diretto che pone in connessione la leadership con i potenziali elettori – è altrettanto realistico dare una forma plastica all’istituzione partitica mediante la selezione di una squadra dirigenziale dotata di competenza, esperienza e magari pure quel minimo sindacale di follia che è una spezia rara ma ingrediente base per le avventure più avvincenti che tracciano un vissuto politico. Ergo, solo mediante una sinergia tra la teoria e la pratica di stile manageriale sarà possibile iniettare nuova linfa vitale all’intero popolo di Forza Italia – e del centrodestra tutto – in modo che si torni a votare solamente perché si è corroborati da una passione capace di far crescere un progetto. Insomma, non più votare contro qualcuno ma solo per qualcosa di veramente importante. Ripeto: solo così sarà tangibile la possibilità di recuperare quell’emorragia elettorale che negli ultimi anni ha segnato un meno 10 milioni di votanti alle urne. Poi, certo, il pelo nell’uovo è presente anche in questo caso, figuriamoci. Tipo la libertà che per lo scrivente è solamente legata all’individuo e che invece per Parisi deve essere diluita le tra varie dimensioni sociali: la comunità, l’impresa e così via. Senza contare, per altro, che ognuna di queste realtà è costituita da una pluralità di singole persone, ognuna titolare di una irripetibile ed irriproducibile unicità alla quale, proprio per questo, è doveroso affidare l’appellativo di sacro. Al di là delle credenze religiose di ciascuno.