Quello che si sarebbe palesato di lì a poco dinanzi ai miei occhi era una testimonianza della vera essenza del nazionalismo scozzese. The Proclaimers, “I’m gonna be”: un semplice testo scritto negli anni ’80 con l’obiettivo unico di posizionarsi nella top ten e trasformatosi nel tempo in un vero e proprio inno d’amore rivolto alla propria terra. Dunque, sacro.
Non era il caldo eccezionale a rendere tutti di buonumore, non era nemmeno il Festival, era la consapevolezza di essere Scozzesi riaccesa da quelle parole. Quella stessa consapevolezza che si respira nell’aria in ogni angolo della città e del paese, tra le bandiere bianche e blu e tra le opinioni, mai celate, di un popolo fiero e stanco di non ottenere mai del tutto il meritato ruolo da protagonista.
Lo stesso spirito ha portato in questi giorni la Premier, Nicola Sturgeon, a muovere i primi passi verso l’ennesimo referendum riguardante l’indipendenza dal Regno Unito. Predisposte piattaforme virtuali ed organizzati eventi informativi, ma non solo. La leader del Partito Indipendentista ha annunciato di voler formare una Commissione che possa analizzare, anche dal punto di vista economico, la fattibilità di questo progetto, o meglio, per alcuni, “sogno scozzese”.
Ennesimo tentativo però in quanto tutti ricordiamo come già nel 2014 il popolo chiamato a rispondere alla stessa domanda, “Should Scotland be an Independent country?”, optò per il NO. Vinse il “Let’s stick together!”. Esito che lascia tutt’ora perplessi se si tiene conto dei tantissimi pareri che dal barista alla cameriera, dal banchiere all’impiegato, dal professore alla guida turistica, dal giovane in cerca di fortuna all’uomo più maturo spingono verso una netta separazione dal Regno Unito. Allora perché ci si chiede. Perché il referendum del 18 settembre 2014 si è concluso con il NO al 55%?
La spiegazione non tarda ad arrivare, si fa chiara e semplice sotto il nome di “The Vow”, la promessa ad opera dei tre principali volti dei partiti britannici: Cameron, Miliband, Clegg. Non sono pochi infatti gli scozzesi che ammettono di voler il divorzio da Londra ma di aver votato “No” in passato in virtù di ciò che l’Inghilterra aveva loro garantito nel caso in cui questo avesse vinto: maggior potere al Parlamento, condivisione equa delle risorse, potere decisorio in merito al Servizio Sanitario Nazionale.
Ma, ancor di più, i miei interlocutori evidenziano come la necessità di rimanere entro i confini dell’Unione Europea fosse per loro la ragione principale di quella decisione. Ragione che ad oggi, in seguito alla Brexit, viene però meno.
“Ci sentiamo presi in giro” molti mi confidano. “L’Inghilterra ci aveva avvertiti che, diventando indipendenti, saremmo stati costretti ad abbandonare l’Ue e con essa i vantaggi che ne traiamo. Ma cosa hanno fatto loro? Hanno scelto di uscirne due anni dopo quei moniti.” Insomma è la Brexit la goccia che ha fatto traboccare il vaso, la parola fine ad un matrimonio caratterizzato da “ tanti piatti rotti e diverse discussioni”.
La Scozia in realtà avrebbe tutte le carte in regola per ottenere una posizione predominante sullo scenario internazionale: centro economico, finanziario e culturale attraente e ricco. Patria di industrie tessili, informatiche e chimiche decisamente floride, di un turismo dirompente e di spinte all’innovazione e alla sostenibilità sempre incoraggiate. Un paese in cui le esportazioni verso Stati Uniti, Germania e Francia raggiungono percentuali rilevanti, così come l’entità delle risorse possedute se si pensa, ad esempio, ai giacimenti petroliferi nel Mare del Nord.
Tutto ciò non è un mistero per gli Scozzesi che sanno di poter essere in grado di proseguire il cammino con le proprie gambe, autonomamente, senza sottostare alla volontà di altri. Ma non è soprattutto un mistero per il Regno Unito il quale, venendo meno quei contributi decisivi apportati dalla Scozia, sarebbe costretto ad affrontare ulteriori sfide in un momento che è per la sua economia alquanto delicato.
Che cosa accadrà oltremanica nei prossimi mesi? I possibili risvolti sono tanti. Intanto si prepara il terreno per un sondaggi i cui esiti saranno resi noti il 30 novembre. Staremo a vedere se il popolo in kilt verrà, di nuovo, chiamato alle urne e come reagirà questa volta.