– A cura di Andrea Rapisarda – Come ogni anno ricorre il Primo Maggio, la storica festa dei lavoratori tanto sentita in Italia. In uno scenario che dovrebbe essere di gioia e riflessione per gli operosi, questo evento nazionale pare non rispecchiare in nulla la figura dell’attuale “persona lavoratrice”. E’ impossibile festeggiare ora lo stato sociale del dipendente o dell’operaio, che sempre di più vede calpestati i propri diritti nel campo professionale. Ma oltre ai lavoratori delusi dobbiamo anche ricordarci del grande problema della disoccupazione, che sul territorio italiano ha raggiunto vette da record.
Mentre il governo Renzi si pavoneggia di risultati nel campo dell’occupazione, è una triste realtà vedere famiglie e singole persone vivere sul lastrico o con una qualità della vita al di sotto del “tetto di povertà”. I nostri giovani sono costretti a emigrare all’estero per trovare un’occupazione, perché ormai in Italia nessun imprenditore vuole più assumere per i forti vincoli finanziari imposti alle imprese e alle aziende. Anche la competitività è diventata inumana nella ricerca di un lavoro, venendo a creare una “lotta tra poveri” nei vari strati sociali (toccando soprattutto i più disagiati). Non possiamo rimanere impassibili neanche davanti ai tanti tagli che si stanno facendo sul personale operativo, che comportano profonde crisi nelle famiglie toccate e anche grandi lesioni alla dignità e al morale di chi si vede licenziato ingiustamente.
Un sistema occupazionale al collasso, specie se pensiamo come le aziende ti avvicinano solo per “stage non retribuiti”: se queste esperienze possono essere importanti dati nei “curriculum vitae”, da un altro punto di vista si presentano solamente come massacranti sfruttamenti per i più giovani (che spesso non operano neanche nel loro campo professionale o di studio). Se diviene difficilissimo inserire nel mondo lavorativo un volto novizio o fresco di studi, è praticamente impossibile posizionare una persona di media età (tra i 30 e i cinquant’anni) per fattori pregiudizievoli e fiscali.
Il collasso occupazionale avviene sotto lo sguardo attento dei sindacati, che si riempiono la bocca di lavoro e occupazione ma che poi nelle azioni – quelle concrete – non fanno nulla per cambiare l’attuale realtà. Anzi, dopo gli ipocriti appelli poi sono i primi a mangiare sulle spalle dei propri lavoratori e associati. I bilanci delle realtà sindacali diventano sempre più gonfi, come d’altronde anche il portafoglio dei sindacalisti: queste persone difendono sempre meno il diritto e la dignità del lavoratore, con l’eccezione di pochissime realtà che invece coltivano le cause e i disagi dei propri colleghi/affiliati. Ormai la figura del sindacato guarda al proprio interesse nella maggior parte dei casi, pensando a sistemare i propri affari e chiudendo verso l’assistenza ai lavoratori.
Sempre più soldi girano nelle realtà sindacali, senza che però questi organi meritino nel concreto i forti guadagni o rimborsi. Investimenti milionari che tornerebbero utilissimi invece per creare posti lavorativi o incentivare quantomeno la spinta alla creazione di nuove realtà occupazionali. Mentre i soldi vengono barbaramente sprecati tra vizi e patetici concerti, molte persone bisognose sognano un lavoro e ricoprirebbero un qualsiasi mestiere per riinserirsi nella società (anche quelli più umili).
A sinistra tira aria di festa, nonostante la profonda crisi e un governo Renzi che cerca di privatizzare qualsiasi cosa tocchi. Non saranno certamente due canzoni al “Concerto del Primo Maggio” a risollevare il disastroso bilancio occupazionale italiano: provocatoriamente sarebbe bello vedere come la tanta partecipazione a questo evento fosse anche sentita in tutte quelle manifestazioni contro la disoccupazione italiana. E’ inammissibile vedere come ex sindacalisti ora siano parte integrante di realtà come il Partito Democratico e si rendano complici delle politiche “anti-sviluppo” renziane, come è paradossale vedere ex operai quali l’onorevole Boccuzzi (sopravvissuto alla tragedia ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni SpA) sostenere gli interessi di un’acciaieria dell’Ilva.
Viva l’Italia e buon Primo Maggio dell’ipocrisia!